lunedì 8 aprile 2013

Calcio e dittatura/Quel gol a porta vuota

Oggi è giornata di derby (Calcistico) a Roma. Nonostante quasi cento giorni di (involontaria) anarchia istituzionale, ovvero senza Governo da cinquanta giorni, che, se sommati ai quarantacinque della competizione elettorale, arrivano appunto a cento, l’interesse per il derby romano, ma il calcio in generale,  stordisce un po’ noi cittadini modello e ci distrae dal fatto di [non] sentirci ostaggi-carne-da-macello in questi giorni di “forte” dibattito elettorale.
Mi alleo a desta e vengo percepito a sinistra come uno di destra, con tendenze progressiste o rimango fedele alla mia linea di sinistra e cercao nella sinistra post-comunista, ma movimentista e giustizialista una coerenza con la mia voglia di sinistra? Ma che caz** devo fare? Questo, più o meno, la qualità della nostra dirigenza politica – a destra come a sinistra.
Però, e per fortuna, come si dice il Buddah dimora nei petali di un fiora, ma anche tra i fogli di una rivista è sull’ultimo numero di Rivista Anarchica che una lettera di un lettore mi ha incuriosito. Il tema? Un gol fantasma in una partita di calcio fantasma.
Ecco qua sotto il testo della lettera e buona lettura e…

Cara Redazione,
ho letto con piacere i recenti articoli “a tema calcistico” di Giovanni Cerutti e Angelo Pagliaro e ho pensato di sottoporre all'attenzione dei lettori di “A” un episodio storico ma non sufficientemente ricordato.
Santiago del Cile, settembre 1973. La giunta militare del generale Pinochet con un golpe (e la complicità degli Stati Uniti) prende il potere e il presidente Salvator Allende si suicida per non consegnarsi vivo ai soldati che stanno occupando il palazzo governativo della Moneda. Nell'ultimo appello dato al suo popolo per radio, Allende aveva annunciato: “Ho fiducia nel Cile e nel suo destino [...] Non dubitate che, più prima che poi, si apriranno di nuovo i grandi viali per i quali passa l'uomo libero per costruire una società migliore”. Con Pinochet capo di stato, inizia subito una caccia spietata a tutti gli oppositori del regime, e in poche settimane lo stadio della capitale cilena si trasforma in una sorta di lager dove vengono rinchiusi un migliaio di dissidenti e gli spogliatoi diventano camere di tortura e fucilazione.
Il 21 novembre dello stesso anno, all'Estadio Nacional è previsto il ritorno del match – valido per la qualificazione ai mondiali di Germania del 1974 – Cile-Urss (0-0 il risultato dell'andata). Per l'importante evento sportivo le autorità militari si affrettano a trasferire dagli spalti ad altri “luoghi della morte” tutti i prigionieri, ma la Federazione calcio dell'Urss comunica che la propria nazionale non disputerà nessuna partita in un campo-prigione di dissidenti politici. Le autorità sportive e governative cilene invece vogliono che la loro squadra sia in campo, e nel più importante impianto calcistico del paese, anche per dare un segnale rassicurante al mondo. E così, quel giorno di novembre del 1973 all'Estadio Nacional di Santiago, davanti a circa ventimila spettatori, si consuma una delle pagine più grottesche della storia del calcio: il Cile si gioca la qualificazione al mondiale senza avere di fronte avversari. Quando l'arbitro (austriaco) fischia l'inizio, si avverte una strana atmosfera, poi la roja allenata da Luis Alamos appronta dei brevi scambi in avanti finché la palla giunge a Carlos Humberto Caszely. Il centravanti del Colo-Colo (la Juventus cilena di cui era tifoso il poeta Pablo Neruda) è tentato di gettare la sfera oltre la linea laterale in segno di protesta al regime fascista e alla pantomima a cui stava dando il suo contributo da protagonista, ma non trova il coraggio e appoggia la palla al capitano Valdés, il quale si spinge in avanti, per poi arrivare a mettere il sigillo al più fesso dei gol segnati a porta sguarnita. La partita Cile contro nessuno è durata meno di due minuti. Ai sudamericani la Fifa dà la vittoria a tavolino per 2-0 e ignominiosamente stringono in pugno la qualificazione per Monaco '74. Messo a segno il gol-farsa, Valdés si rifiuta di giocare “l'amichevole di ripiego” coi brasiliani del Santos (batteranno i cileni per 5-0) e scappa negli spogliatoi dove si chiude nel bagno e vomita tutta la vergogna che si sente addosso. Vent'anni dopo Francisco Valdés ha ancora la coscienza in subbuglio: decide di mettere nero su bianco e scrivere una lettera indirizzata (simbolicamente) a Pablo Neruda. Scrive, tra l'altro: “Querido Don Pablo [...] Pochi istanti prima di andare in campo, venne il presidente della federazione cilena. Mi disse: 'Francisco, il gol lo devi segnare tu'. Mi sentii crollare il mondo addosso, schiacciato da una responsabilità che non avrei voluto sopportare. Ma non ebbi la forza di rifiutare. Stavo diventando il personaggio chiave di una farsa che avrebbe fatto il giro del mondo, me ne rendevo perfettamente conto, stavo diventando un simbolo non solo sportivo ma anche politico. Sì, perché quella partita era soprattutto politica: il regime di Pinochet voleva dimostrare la sua forza al mondo, il quale condannava la sua violenza. Ed io ero stato scelto per un gioco più grande di me.”

http://www.indiscreto.info/2011/04/la-partita-fantasma-di-pinochet.html

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