E’ uscito per i tipi della
abiblio.it il discusso testo dell’economista
John K. Galbriath, dal titolo
L’arte di ignorare i poveri. Sono 55 pagine che finalmente trovano la luce su carta, dopo che solo
on-line era disponibile una buona traduzione. Reperitelo, e – se lo avete già in casa – mettelo vicino a
Bolo-Bolo ed ai testi di
Hakim Bay.
Qui solo uno “stralcio” e un mio personale comemnto.
…Benjamin Franklin già dal 1766 riteneva che «
più si organizzano soccorsi per prendersi cura dei poveri, meno essi prendono cura di loro stessi e, naturalmente, più diventano miserabili. Al contrario, meno si fa per loro, più essi fanno per sé e meglio se la cavano». In definitiva, abbandonare gli indigenti alla loro sorte sarebbe un mezzo per dare loro una mano. L’
avarizia diviene così una forma intellettualmente avanzata di generosità umana e perfino, osiamo dirlo, di aiuto sociale.
In tempi normali, una teorizzazione tanto accurata dell’egoismo sarebbe già quasi irresistibile. Che dire allora dei tempi di crisi, dei momenti in cui la maggior parte dei governanti ci ripetono in continuazione che «
le casse sono vuote», che un indebitamento crescente minaccerebbe «
l’avvenire dei nostri figli»? Reso edotto del pericolo collettivo, dell’urgenza di «
fare sacrifici», ognuno immagina allora molto volentieri che, anche in periodo d’austerità, sarebbe, proprio lui, meglio rimborsato per le sue cure (quando si ammala), meglio compensato durante i suoi periodi d’inattività (quando è disoccupato), se altri, inevitabilmente meno meritevoli, non lo fossero altrettanto.
Lo si sa bene: non appena la fiducia nell’avvenire viene meno, quando i muri chiudono loro la strada, le persone si levano le une contro le altre – soprattutto se si frequentano e si fanno concorrenza per lo stesso tipo di lavoro, di alloggio, di scuola. Il sospetto che il proprio mediocre livello di vita o l’eccessivo ammontare delle imposte che si deve pagare si spieghino con gli innumerevoli vantaggi dei quali beneficerebbero gli «assistiti» alimenta un
barile di risentimento che la minima scintilla può fare esplodere. I piromani non mancano. In un certo senso, le eleganti razionalizzazioni del Fondo monetario internazionale (FMI), dell’OCSE, dei «pensatoi» o della BCE hanno la vocazione d’incoraggiare i governanti e i giornalisti ad accendere il fiammifero…
…e mi fermo qui!
Chi si ricorda le lacrime del Ministro per il
Warfare, quando ricordava quanti “sacrifici” avrebbero dovuto incontrare gli italiani per «
l’avvenire dei nostri figli»?
Ma possibile che a pagare [ancora una volta] per l’avvenire di qualcuno debba essere la classe più bassa? Il problema Italia erano i “pensionati” e la loro “esosa” rivalutazione e non le Banche che “comprano” soldi dall’EU ad interessi bassissimi ( soldi che sono parte dei nostri “sacrifici” in termini di tasse ) senza rimetterli in circolo. Milioni di euro per una governance istituzionale che, di fatto, ha rinunciato al mandato e non “lavora” neanche più.
Insomma, per concludere, nei momenti di difficoltà [economica] è il più forte che detta le regole e quando la forza è definita in valori “economici” è la stessa Società Civile che si deve piegare all’interesse ed al profitto. Le ragioni dell’economia non dovrebbero mai intaccare la
qualità della Società Civile nella quale la stessa economia si sviluppa e produce benessere e migliorie, ma quando l’elemento economico diventa il solo elemento di valutazione, la Società Civile si piega su se stessa e valori come la
solidarietà, il
mecenatismo, l’
umanità diventano solo vuoti simulacri senza significato alcuno.
Non una, ne cento, ne mille…presto saremo tutti cinesi! More teachers, farmers, tractors less banks and profit-makers!