martedì 19 aprile 2011

Un figlio della sua terra che non c'è più.



Non è mai facile parlare di morte, né meno che mai della morte degli altri. Quando poi questo evento ineluttabile coinvolge persone ricche e famose inevitabilmente genera una sensazione di distacco e forse, ma dico forse senza convinzione, anche di indifferenza. Era ricco, che và cercando? Ha vissuto meglio di me!...frase comune e, se non nella sintassi, nella sostanza, sentita decine e decine di volte in queste ultime ore quando ho appreso della morte del giovane Ferrero.
I pochi ( ma in costante aumento) lettori del mio blog avranno capito quanto io sia attratto dalle Langhe e dalla loro asprezza oramai dimenticata.
Mi sono innamorato di questa miseria con una novella di Fenoglio, La malora, dove un bambino si trova a vivere una sua odissea personale e adolescenziale in un mare mossa dalla miseria e sofferenza agreste. In questa novella la terra di Langa è nemica. La vita bucolica non così affascinante e romantica come un altro grande scrittore langhetto ben disegnerà nel tempo, Cesare Pavese, ma ostile. La gente di Langa greve, cruda, con i volti segnati dal lavoro e il disincanto, con Fenoglio non c’è spazio per il futuro, ma solo momenti di dura vita campestre. La terrà di Langa è [nel racconto] in conflitto con la sua stessa gente, ingenerosa ed egoista.
Ma arriva la realtà dei giorni nostri, e se adesso Alba, Benevello, Lequio Berrio, la birra Baladin, la bella vita ( forse anche più dolce di quella romana degli anni sessanta? ) rappresentano l'oggi, lo si deve anche a uno dei suoi figli più laboriosi e langetti. Greve, riservato, ingrugnito, ma generoso – senza batter grancassa – e amato, Michele Ferrero.
Ho conosciuto le Langhe ai tempi dell’alluvione e le frequento per sentimento da molto tempo e non posso non aver notato come la presenza del brand Ferrero significhi molto di più che benessere commerciale e richezza, in qualche modo quest’uomo ha trasmesso alla sua gente l’idea del "ce la facciamo da soli. Noi contro la nostra terra". E questo è ciò che accade, i Langhetti non piangono. Soffrono, ma non si fermano sulla loro terra. Sempre avanti.
In un momento dove la frammentazione del territorio genera incertezze e indebolisce ogni forma di identità, la Ferrero ha costruito – suo malgrado? – una forte dinamica di appartenenza ad un terreno, che prima ostile, ora domato, è diventato uno dei più piacevoli d’Italia, forse d’Europa.
E se è vero che i langhetti non vanno al di là de Tanaro, non sarà che non vogliono nessuno al di qua?
Next to come:Free Langa Movement.org

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