Anni fa Dublino era la città che frequentavo più spesso, in passato era Parigi che prosciugava la mia Carte di Credito, ora mi divido tra le Langhe e Ginevra, però il mio interesse di sempre è rimasto per New York. Ogni volta che una rivista, un giornale un film fa riferimento a posti e luoghi che ho frequentato con…frequenza mi viene la voglia di rifare un altro viaggio nella grande mela. Non sarò certo io ad impelagarmi nel valutare l’importanza di NYC nella cultura moderna, la nuova geografia degli interessi, dello specioso bla-bla su NYC, ecc.ecc. però anche stavolta mi divertirò (perché a leggere i “pochi” commenti, sembra che mi diverta solo io!) a elencare i cinque dischi, films, dvd, cd che meglio rappresentano la “mia” New York City.
Al quinto posto il film What about me di Rachel Amodeo, una semplice storia di una homeless newyorkese diventa l’occasione per conoscere dei veri outcast come Dee Dee Ramone, Jerry Nolan, Richard Hell, Johnny Thunders, Gregory Corso, Nick Zess nel loro contesto naturale. Forse il film non è un granchè e la recitazione di alcuni pessima, ma c’è dentro tanto Pasolini nella scelta di attori così ben rappresentativi della NYC sbandata e misera che non lascerà nessuna eredità importante.
Al quarto posto tutta l’opera dei Velvet Underground. Benchè “copiati” a destra e manca da molti, niente riesce ad essere così identificativo, per una band musicale, come il loro suono per New York. I Velvet Underground e New York sono una cosa sola. La colonna sonora di una notte a NYC non può non essere che la voce di Lou Reed.
Al terzo posto spetta il libro, ma anche il film non è male ( però ai giorni nostri faremmo di meglio!) Last Exit to Brooklyn, di Hubert Selby Jr.. In una visione dannata delle vita di NYC tre soggetti vivono il loro disagio in modo arrogante e violento. Siamo negli anni ’50 e mentre l’iconografia popolare celebra con West Side Story una NYC romantica, si anche cinematograficamente violenta, ma alla fine conciliante, Last Exit si posiziona sin da subito ai confini della grande mela tra transex e sindacalisti, nella zona d’ombra che per primo Selby Jr. illumina, se pur con una luce fioca ed inquieta. Last Exit è anche una serie di piccoli camei tumorali di una Brooklyn malsana e banale, come a tratti NYC sa essere, ma che da sempre attrae nella sua zona d’ombra dove anche la banalità sa diventare poetica.
Al secondo il film Bronx Tales di Robert De Niro. Questa è anche NYC. Il Bronx degli italiani che rimorchiano le signorine in lingua originale e giocano alla morra. 5! 7! 9! ‘fanculo! C’è più italianità in questo film che non in tutta la saga del Padrino. Vera America, vera NYC, vero Bronx di un vero newyorkese nato italiano e diventato americano senza perdere niente e aggiungendo molto. Good Old Woop!
Al primo posto il libro Brendan Behan's New York. Migliaia i testi su NYC, la grande mela è stata sbucciata e sezionata in miliardi di parti che hanno generato tonnellate di parole, ma nessun testo – secondo me – ha la capacità di essere poeticamente semplice, ironicamente graffiante e pragmaticamente americano come questo di Brendan. E pensare che Brendan Beham è irlandese – e della lirica irlandese ne è un grande campione – anche se, nel libro appare chiarissimo, lo stesso Behan sente NYC his second home. As me!
Al quinto posto il film What about me di Rachel Amodeo, una semplice storia di una homeless newyorkese diventa l’occasione per conoscere dei veri outcast come Dee Dee Ramone, Jerry Nolan, Richard Hell, Johnny Thunders, Gregory Corso, Nick Zess nel loro contesto naturale. Forse il film non è un granchè e la recitazione di alcuni pessima, ma c’è dentro tanto Pasolini nella scelta di attori così ben rappresentativi della NYC sbandata e misera che non lascerà nessuna eredità importante.
Al quarto posto tutta l’opera dei Velvet Underground. Benchè “copiati” a destra e manca da molti, niente riesce ad essere così identificativo, per una band musicale, come il loro suono per New York. I Velvet Underground e New York sono una cosa sola. La colonna sonora di una notte a NYC non può non essere che la voce di Lou Reed.
Al terzo posto spetta il libro, ma anche il film non è male ( però ai giorni nostri faremmo di meglio!) Last Exit to Brooklyn, di Hubert Selby Jr.. In una visione dannata delle vita di NYC tre soggetti vivono il loro disagio in modo arrogante e violento. Siamo negli anni ’50 e mentre l’iconografia popolare celebra con West Side Story una NYC romantica, si anche cinematograficamente violenta, ma alla fine conciliante, Last Exit si posiziona sin da subito ai confini della grande mela tra transex e sindacalisti, nella zona d’ombra che per primo Selby Jr. illumina, se pur con una luce fioca ed inquieta. Last Exit è anche una serie di piccoli camei tumorali di una Brooklyn malsana e banale, come a tratti NYC sa essere, ma che da sempre attrae nella sua zona d’ombra dove anche la banalità sa diventare poetica.
Al secondo il film Bronx Tales di Robert De Niro. Questa è anche NYC. Il Bronx degli italiani che rimorchiano le signorine in lingua originale e giocano alla morra. 5! 7! 9! ‘fanculo! C’è più italianità in questo film che non in tutta la saga del Padrino. Vera America, vera NYC, vero Bronx di un vero newyorkese nato italiano e diventato americano senza perdere niente e aggiungendo molto. Good Old Woop!
Al primo posto il libro Brendan Behan's New York. Migliaia i testi su NYC, la grande mela è stata sbucciata e sezionata in miliardi di parti che hanno generato tonnellate di parole, ma nessun testo – secondo me – ha la capacità di essere poeticamente semplice, ironicamente graffiante e pragmaticamente americano come questo di Brendan. E pensare che Brendan Beham è irlandese – e della lirica irlandese ne è un grande campione – anche se, nel libro appare chiarissimo, lo stesso Behan sente NYC his second home. As me!
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