venerdì 29 ottobre 2010

PPP goes Yankee

Che io consideri PPP uno degli ultimi pensatori di questo secolo, meglio forse dire di quello passato, è del tutto irrelevante, ma quando anche in Amerika cominciano a sottolineare la natura innovativa ed audace di questo libero scrittore la cosa non può non che farmi paicere. E per due semplici motivi; il primo, l'ho detto, per me Pasolini è un cicerone moderno che - sin dagli anni cinquantas - ha utilizzato la retorica della grammatica italiana per incorniciare l'ipocrisia della società moderna di allora ( ma attuale anche oraq poichè era ed è il moderismo a essere questionato), il secondo perchè è nel pragmatismo americo, privo di lirica, che l'opera Pasoliniana si è sempre scontrata. E non a caso ancora oggi PPP è considerato un autore minore, di culto, tra i colleghi europei.

Ecco consa ne pensano gli amici di City Light Press/:/
Pier Paolo Pasolini (1922-1975) was a major cultural figure in post-WW2 Italy, well known as a poet, novelist, communist intellectual, and filmmaker. In Danger is the first anthology in English devoted to his political and literary essays, and includes a generous selection of his poetry.Translated by several hands, including Hirschman and well-known rocker Jonathan Richman, In Danger is essential reading for anyone interested in Pasolini's brave lyricism and critical insight.
Enjoy!

giovedì 28 ottobre 2010

Diritti & Dritti#1

Questo breve video del Comitato Internazionale della Croce Rossa solo per sensibilizzare sul tema dei "prigionieri" o di quegli individui, sempre di più nel mondo, che vivono in una condizione di libertà limitata o controllata. Dall'Africa più scura, al Medio-Oriente più greve, migliaia di persone ogni mattina non sanno se faranno ritorno nelle proprie case o rivedranno più membri della propria famiglia. Scompariranno in austere e misere prigioni senza nessun diritto di difesa o replica.

Quando nel nostro paese sento che ci si lamenta per una "dittatura" mi indigno per la banalizzazione di una parola che, nella sua essenza, ha da sempre generato [vera] sofferenza e tristezza.

Un pò di rispetto please!

sabato 23 ottobre 2010

Dear Diane!

Diane di Prima è nata a Brooklyn, New York, americana di seconda generazione poichè di origini italiane [suo nonno, Domenico Mallozzi, fù un attivista anarchico], iniziò a scrivere all'età di sette anni e nella prima adolescenza maturò la ferma decisione di vivere come un poeta la sua vita futura.
Ha vissuto a Manhattan per molti anni, dove cominciò – e si affermò - come la più importante scrittreice dell'allora nascente movimento Beat americano, specialmente dell’aerea East Cost. Durante quel tempo ha co-fondato il New York Poets Theatre e fondò la Poets Press, che ha pubblicò – con una capacità visionaria e audace - il lavoro di molti nuovi scrittori del periodo. Insieme con Amiri Baraka (LeRoi Jones) curò la newsletter letteraria The Floating Bear. Nel 1965 si trasferì a upstate New York, dove ha condiviso con la Comunità di Millbrook dello “psichedelico” dottor Timothy Leary ogni forma di lisergia possibile.
Negli ultimi venti anni ha vissuto e lavorato nel nord della California, dove prese parte alle attività politiche e "rivoltose" dei Diggers, per poi ritirarsi, verso la fine degli anni sessanta, in una comune, dove studiò Buddismo Zen, sanscrito e alchimia.
Dal 1980 al 1986 ha insegnato le “tradizioni” esoteriche ed ermetici nella poesia contemporanea e anche se per un periodò breve, il programma didattico fù significativo, tanto chè il suo lavoro è stato tradotto in oltre venti lingue.
Ora vive e lavora a San Francisco, dove, dopo aver co-fondato il San Francisco Institute of Magical and Healing Arts, vi si dedica all'insegnamento. Senza tuttavia trascurare nè la poesia, né la narrativa legata anche al suo contributo storico sul movimento beat americano.

Perchè questo post su una (semisconosciuta) poetessa beat americana? Forse per ricordare ancora una volta come l'attrito che spesso determina una "diversità" culturale nelle politiche di integrazione, genera - a volte - intuizioni magiche e sensibilmente poetiche. Molti autori della beat generation sono si amerikani, ma di seconda e terza generazione. Questo non cambia il fatto che il movimento beat sia una "cosa" solo-ed-esclusivamente americana, ma il contributo che i non americani hanno apportato rilevante...o no?
Just think about!

giovedì 21 ottobre 2010

Punx a Roma - Anti You

Non è certo questo Blog uno spazio per recensioni tou-court, ma quando emerge qualcosa di interessante dal sottobosco della società ordinaria e ordinata credo che valga al pena condividerlo. E’ il caso degli Anti You di Roma. Gruppo capitolino dedito ad un nu HC veloce e stronzo ( sorry! Ma l’epiteto è in questo caso significativo!), una sorta di Supergruppo romano che annovera tra le sue fila membri di storiche band ancora attive e non, come Semprefreski, Threat of Riot, This Side Up, Die!, Comrades e Flu!, e che ha ormai diversi seveninch in giro e un CD per i tipi della S.O.A. Records niene male.
Suono stile HC americano ma con una particolare attenzione alle qualità delle registrazioni, il CD making your life miserable è registrato in modo eccellente per essere un disco punk e brani tipo il primo mi ricordano i primi Bad Brains. Cercateli in giro, suonano spesso dal vivo e ovunque e – oltre ai loro CD – procuratevi le magliette; il loro grafico è un must! Le copertine dei loro dischi sono identificabilissime e – alla lontana, ma sempre in modo originale – sembrano seguire la linea di Raymond Pettibon e dei dischi dei Black Flag o della SST in generale.
Enjoy Hard Core and live life!

mercoledì 20 ottobre 2010

Sinistra [americana] vs Destra [europea]

Ancora una volta dall’America arriva un esempio di giornalismo orientato politicamente, ma corretto e non pettegolo. In un paese liberale e liberista è normale che esista un attivismo anti-reazionario. La società americana, sono consapevole che potrebbe sembrare un semplificazione, è orientata sulla solidità di un certo conservatorismo, e questo sia di destra che di sinistra, ma è all’interno di questa struttura conservatrice eliberista solidamente strutturata che trovano spazio i vari Noam Chomsky, Henry Rollins, Howard Zinn e i movimenti [veramente] radicali e un’informazione libera e "americanamente" indipendente. Tra queste riviste come Mother Jones, The Proggressive a sinistra e The American Prospct e – forse, ma non è facile identificarne l’appartenza alla luce di un pragmatismo sfacciato – The American Interest.
Una flora editoriale impensabile nel nostro paese dove tutta, e ribadisco tutta! – l’informazione italiana è politicamente orientata. Su questa linea si sviluppa anche il progetto comunicativo dell’emittenza pubblica. In Italia tutti sanno, sin dalla nascita, che il primo canale RAI è governativo, il secondo laico di opposizione e RAI Tre comunista. Da sempre! Si nasce con questa convinzione e guai a dire che le notizie sono politicamente orientante i piagnoni del vecchio sistema grideranno alla censura. Nei nostri canali pubblici soggetti come Santoro, Vespa, Fazio, Dandini vanno in onda da vent’anni…e forse più. Ma chiunque ipotizzasse un naturale ricambio generazionale verrebbe accusato di essere un becero censore.
Due generazioni di giovani giornalisti, intellettuali, pensatori con idee cresciute e sviluppate magari nei Centri Sociali di Destra e Sinistra, dei NetWork autonomi e autogestiti, nelle fanzine universitarie e nei blog, completamente annientate da chi? Da “vecchi” cultori di un conservatorismo che tutela solo loro stessi, i loro interessi e gli interessi della “loro” parte. Non certo la libera informazione.
Are U free? Really Free?
Su Dissident ( un’altra bella rivista leftwing americana) una interessante critica alla destra europea ( in parte condivisibile…ma in parte!) ci mostra come si possa ancora dare spazio ad una visione che mette l’idea della politica alla base della critica e non le case ad Antigua o Montecarlo, e meno che mai la finta censura dei soloni da venti milioni di euro! U know what I mean?

sabato 16 ottobre 2010

Ciao Alfredo, bravo Beppe [per stavolta!]

I miei pochi (ma sono in costante aumento!) visitatori del blog sanno che non amo Beppe Grillo, nè i beppegrillismi in genere. Toppo retorico e - a volte - furbo Dall'acquisto dei suoi prodotti utilizzando il sistema di credito delle banche; perciò arricchendole, alla sua ultima tourneè. Indovinate quanti TIR si muoveranno e quanti ( inquinanti) riflettori illunineranno il suo palco, il parcheggio esterno, ecc...ecc..come detto questa retorica ( tanto di moda anche in politica in giorni nostri) non mi piace, ma, detto questo, come si fà a non condividere il suo Comunicato politico#37. Clikkate a sinistra o andate a cercarlo sul suo sito, nè vale la pena!
...ancora poche righe per fare una considerazione. La morte dei Sandra Mondaini ( e Raimono Vianello of course) è stata celebrata su tutte le tv e i giornali; dirette televisive, talk show, famose vecchie mummie televisive si sono ringiovanite dalla morte dei due comici. Grandi comici, ma - sostalziamente - comici.
La morte di Alfredo Bini stà - di contro - passando via come l'acqua sotto un fiume. Poche righe, qualche commento in tarda notte, nulla di più, poco di meno. E pensare che dobbiamo a lui e al suo coraggio se nella cultura iconografica del nostro paese esiste un cinema "alla-Pasolini". Tra le sue produzioni ( cioè c'ha messo lì sòrdi!) "Accattone" e "Uccellacci e Uccellini".
Ho avuto la fortuna di conoscerlo e frequentare per un pò la sua casa sulla Laurentina. Tra i ricordi più eccitanti; la visione di imagini inedite di Accattone, una serie di belle fotografie di Pier Paolo Pasolini e Bini sul set e una edizione ( mai ristampata) del libro Ostia. Con dei commenti epigrafi di Pasolini.
Ma che paese siamo se releghiamo a Sbirulino e ai Tetti-ritinti la storia culturale del nostro paese e lasciamo scomparire - con la morte di Alfredo Bini - il senso del coraggio artistico e l'impegno civico per un cinema scomodo. Che paese siamo? beh, this is Italy, my dear

venerdì 15 ottobre 2010

...e bravo Barak!

L'America sembra avere seri problemi in termini di diritti umani; lo ha fatto notare il Dipartimento di Stato del Presidentissimo Obama al mondo questa settimana, soprattutto per quanto riguarda il “nostro” [il loro] trattamento delle donne, dei neri, Latinos, musulmani, Asiatici, nativi americani e membri della Comunità LBGT. Ma stiamo lavorando per costruire "un mondo più perfetto". Questo è il senso di un intervento scritto (di quasi 30 pagine) di autovalutazione rilasciato al Consiglio delle Nazioni Unite.
Dopo la lettura di queste “gemme” retoriche come "l'esperimento americano è un esperimento umano", scopriamo che – in breve – cediamo in termini di rispetto sui Diritti Umani su "equità, uguaglianza e dignità" in settori quali istruzione, salute e abitazioni. Per rimediare a carenze educative al livello di università, il Dipartimento dell'istruzione del Obama è assiduamente impegnato nella promozione di un "equity educativo per le donne e gli studenti di colore", qualcosa che i sottorappresentati uomini bianchi dovrebbero guardare con “interesse”, visto come sono spesso ignorati alla luce della loro normalità etnica. E qui c’è un altro interessante problema di diritti umani: "i cittadini Asian-American soffrono del 114% di cancro allo stomaco più spesso uomini bianchi non ispanici." Wowowow!
Si ottiene una strana immagine della civiltà americana. La relazione si legge come un opuscolo di campagna politicamente corretto, esplodendo al massimo la natura umanitaria dell'amministrazione e del suo attivismo style Obama-care come impegnata nel promuovere i "diritti umani"...in America! E questo anche in un contesto Mondiale, come quello delle NU.
Fondata idealisticamente sulle ceneri della seconda guerra mondiale, le Nazioni Unite oggi sono “osservate” in gran parte per la sua corruzione — politica, finanziaria, e personali — e non c’è corruzione più perversa che quella sulla questione dei diritti umani. Quando nel 2004, nel mezzo della pulizia etnica nel Darfur, il Sudan fù eletto all'unanimità in seno alla Commissione ONU sui diritti umani, l'ambasciatore statunitense uscì immediatamente dalla Commissione stessa per protesta. Due anni più tardi, la Commissione è stata sostituita dal Consiglio ONU dei diritti dell'uomo, i cui membri oggi includono begli esemplari dei diritti umani come Russia, Cina, Arabia Saudita e Cuba —e, con l’occasione vi fecero ritorno anche gli Stati Uniti.
Il Consiglio riesamina il human rights profile di tutti i membri delle Nazioni Unite ogni quattro anni. Parte di tale revisione è un'autovalutazione e le relazioni dei molti membri delle Nazioni Unite non sono così pesanti come l’auto-flagellazione dell’Obama amministration. Nella loro relazione più recenti, i sauditi - ad esempio - si spingono sino nel dire che i diritti umani sono rispettati nel regno saudita in coerenza con la legge della sharia. Così come per i diritti delle minoranze religiose, donne, Gay e lesbiche. Infatti, i sauditi ci dicono anche che condannano "il disprezzo e diffamazione delle religioni che permettono in alcuni Stati in nome della libertà di espressione". Ovviamente senza nessuna reciprocità!
Questa è ( più o meno) la traduzione di un testo comparso sul blog di politica americano: the corner.
Quello che mi sembra interessante è ancora una volta pointed out l'atteggiameto spregiudicato di chi “capitalizza” in termini di consensi politici, elettorali e di becera propaganda di parte, lo strumento dei Diritti Umani, senza tenere conto che la banalizzazione di questo mandato umanitario umilia chi viene privato – nella sostanza – quotidianamente dei diritti fondamentali dell’uomo.
Per un Barak Obama che sembra “più bravo” degli altri, ci saranno migliaia di rinchiusi nelle carceri di paesi dove la violazione dei diritti umani è una cosa seria e non da…propaganda. Per compiacere alle proprie amministrazioni e alle amministrazioni del nordo del mondo…certo è che se poi arriva anche il premio nobel per la pace...beh, che dire? viva Sara Palin?

mercoledì 13 ottobre 2010

Liu Xiabo 10 - Santoro 0

E’ ancora forte l’attrito che il conferimento del premio Nobel per la Pace allo scrittore Liu Xiaobo ha generato tra mondo vs Cina, che nel nostro sempre più provinciale paese il tema della censura è stato già sostituito con qualcosa di più rilevante. Cosa? Ma l’ Affaire Santoro my dear, of course!
Ancora una volta il nostro paese dimentica l’intero mondo e posiziona i propri riflettori su “pericoli di censura” come quello di sospendere per 10 giorni ( dico 10 giorni!!! E on per sempre come lo “sconosciuto” Liu Xiabo!) un anchorman che – entrando nelle case di milioni di italiani – insegna la cultura del vaffanc*** e del non-rispetto. Non ho avuto mai particolare simpatia per il giornalismo santoriano, ma quando questo specula sulla sorte e sui destini di centinaia di vere vittime della censura ( vedi International PEN ), come in Cina, in Iran, ed anche in Centro-america quasto mi fa sdegnare. Non si può, né si deve banalizzare la parola “censura” per meri interessi personali e – meno che mai - per negoziare lucrose buone uscite dalla RAI.
Ma tant’è e nessuno parlerà più del povero Liu Xiabo mentre su Santoro molve vesti verranno stracciate, bonzi si daranno fuoco e finti-giornalisti si indigneranno. This is Italy my friend!

martedì 12 ottobre 2010

Voglio Bart come Presidente della Repubblica!


Come si fa a non amare i Simpsons? Guardate il video sino alla fine e provate solo ad immaginare se sarebbe possibile una cosa del genere nel nostro paese! Con la FIAT che esternalizza da anni, i grandi marchi del Fashion Made in Italy che da decenni hanno abbandonato il nostro paese e le nostre maestranze. Distretti tessili toscani che si sono cinesizzati nella totale indifferenza di tutti. Le grandi imprese complici di questa malaglobalizzazione e le piccole Medie Imprese a tirare l'acqua sino alla fine. Wake up SaraTex troops! Rise up!

giovedì 7 ottobre 2010

Barak's dream...

Con l’elezione di Barak Obama alla Casa Bianca tutti avemmo la sensazione di qualcosa di nuovo a new deal, sia per l’America che per il resto del mondo. Era una sensazione legittima e anche chi, come me, si mostrava un po’ scettico sull’equazione nero=buona democrazia, fu “stordito” da eccitanti ed appassionati discorsi davanti a folle oceaniche e commenti entusiastici del 99,9% dei soloni [anche quelli italiani] televisivi. Ora è passato del tempo e la realtà della pragmatica America davanti agli occhi di tutti. La riforma sanitaria all’europea in bilico, la caduta di consensi del Presidente rapida, ripida e veloce, e le [belle] vaghe politiche sociali d’integrazione al fallimento ( pensate, su tutte, alla malsana idea di fare una moschea vicino al monumento, o ciò che resta, delle Twin towers). L’ultima esigenza, sull’onda di una comprensibile – ma in campagna elettorale sottovalutata -, operazione di “sicurezza nazionale” l’idea di monitorare non solo le pagine web, ma anche le chat e i forum degli americani. Wowowow!
Se il nostro esecutivo avesse solamente proposta una cosa del genere avremmo i [finti] paladini della libertà di stampa in una fase di fibrillazione tale che non basterebbe la scala Richter per classificarla! Invece, alla luce anche di un nostro naturale provincialismo, nessuno né ha parlato e si continua a consegnare alla [misera] cultura politica del nostro paese l’idea di una Barak Obama di “successo”.
La recente massiccia marcia dei Conservatori, che si sono appropriati – con successo – dei luoghi sacri dell’ american left movement un esempio di come non si possa pensare di fare politica basandosi su aspettative e speranze (meno che mai sull’eccitamento del colore della pelle!), poiché il fallimento di queste attese genererà inevitabilmente nuovi comunismi, nazismi, fascismi.
Però in america c’è un forte movimento anarchico e socialista che saprà contrastare queste derivo…almeno spero! Se non ci riusciranno loro la cultura liberale e liberista vera spazzera via ancora una volta ogni ismo!

martedì 5 ottobre 2010

Coffe and Anarchy

Per quanto mi sforzi di far comprendere che l’anarchia – e la sua filosofia e manifestazione teorica -, sia una cosa lontanissima da vecchi bombaroli baffuti, vestiti in nero e sempre incazzati, beh…non ci riesco! Però la rete aiuta molto e penso che questa strip del [bello, ma difficile ] fumetto too much coffèe man sia decisamente chiarificatrice. Sia in termini di contenuti su l’Anarchia, che sui pregiudizi e la pigrizia di molti nel non voler avere un'approccio più ponderato sui desideri e i sogni di vecchi e giovani anarchici all round the world! Enjoy!

I Do love NYC as Brendan Behan

Anni fa Dublino era la città che frequentavo più spesso, in passato era Parigi che prosciugava la mia Carte di Credito, ora mi divido tra le Langhe e Ginevra, però il mio interesse di sempre è rimasto per New York. Ogni volta che una rivista, un giornale un film fa riferimento a posti e luoghi che ho frequentato con…frequenza mi viene la voglia di rifare un altro viaggio nella grande mela. Non sarò certo io ad impelagarmi nel valutare l’importanza di NYC nella cultura moderna, la nuova geografia degli interessi, dello specioso bla-bla su NYC, ecc.ecc. però anche stavolta mi divertirò (perché a leggere i “pochi” commenti, sembra che mi diverta solo io!) a elencare i cinque dischi, films, dvd, cd che meglio rappresentano la “mia” New York City.
Al quinto posto il film What about me di Rachel Amodeo, una semplice storia di una homeless newyorkese diventa l’occasione per conoscere dei veri outcast come Dee Dee Ramone, Jerry Nolan, Richard Hell, Johnny Thunders, Gregory Corso, Nick Zess nel loro contesto naturale. Forse il film non è un granchè e la recitazione di alcuni pessima, ma c’è dentro tanto Pasolini nella scelta di attori così ben rappresentativi della NYC sbandata e misera che non lascerà nessuna eredità importante.
Al quarto posto tutta l’opera dei Velvet Underground. Benchè “copiati” a destra e manca da molti, niente riesce ad essere così identificativo, per una band musicale, come il loro suono per New York. I Velvet Underground e New York sono una cosa sola. La colonna sonora di una notte a NYC non può non essere che la voce di Lou Reed.
Al terzo posto spetta il libro, ma anche il film non è male ( però ai giorni nostri faremmo di meglio!) Last Exit to Brooklyn, di Hubert Selby Jr.. In una visione dannata delle vita di NYC tre soggetti vivono il loro disagio in modo arrogante e violento. Siamo negli anni ’50 e mentre l’iconografia popolare celebra con West Side Story una NYC romantica, si anche cinematograficamente violenta, ma alla fine conciliante, Last Exit si posiziona sin da subito ai confini della grande mela tra transex e sindacalisti, nella zona d’ombra che per primo Selby Jr. illumina, se pur con una luce fioca ed inquieta. Last Exit è anche una serie di piccoli camei tumorali di una Brooklyn malsana e banale, come a tratti NYC sa essere, ma che da sempre attrae nella sua zona d’ombra dove anche la banalità sa diventare poetica.
Al secondo il film Bronx Tales di Robert De Niro. Questa è anche NYC. Il Bronx degli italiani che rimorchiano le signorine in lingua originale e giocano alla morra. 5! 7! 9! ‘fanculo! C’è più italianità in questo film che non in tutta la saga del Padrino. Vera America, vera NYC, vero Bronx di un vero newyorkese nato italiano e diventato americano senza perdere niente e aggiungendo molto. Good Old Woop!
Al primo posto il libro Brendan Behan's New York. Migliaia i testi su NYC, la grande mela è stata sbucciata e sezionata in miliardi di parti che hanno generato tonnellate di parole, ma nessun testo – secondo me – ha la capacità di essere poeticamente semplice, ironicamente graffiante e pragmaticamente americano come questo di Brendan. E pensare che Brendan Beham è irlandese – e della lirica irlandese ne è un grande campione – anche se, nel libro appare chiarissimo, lo stesso Behan sente NYC his second home. As me!

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