lunedì 23 gennaio 2012

Bruce, a [local] working class hero!



New York City negli anni settanta deve essere stata stupenda, soprattutto quel periodo. Film come Taxi Driver, Un Uomo da Marciapiede, Last Exit Brooklin, solo per citare i più newyorkesi. Gli anni del CGBG’s, della promiscua Time Square e dei giovani Ramones, della sexy Debby Harry. Insomma c’era tanta di quella carne sul fuoco, che il fumo è nell’aria ancora oggi. Molti i personaggi storici e culturali, showman e artisti che hanno passato le decadi e non hanno visto, se non di poco, indebolita la loro carica yankee.
Tra questi, forse è una mia impressione, ci metterei Bruce Springsteen. Che dopo essersi “perso” nei banali anni ottanta, ha ripreso la lunga marcia iniziata da Woody Guthrie e Peter Seeger, e portata avanti da Bob Dylan. E se è vero che Dylan si impegnato musicalmente “attraverso-e-oltre-la-politica”, Springsteen si è mosso nella direzione opposta e ha trovato la sua “ragione politica” attraverso la sua musica. A causa di un'estetica incrollabile, di parole accoppiate con una passione feroce per solidarietà, l’impegno, la responsabilità, Springsteen - come narratore - ha continuato a divulgare la virtù del comune bene, dell'uomo comune, in particolare il “comune” working class hero americano.
Recentemente ho ritrovato questo vecchio bootleg di Springsteen, registrato non male, ma così dannatamente newyorkese.
Come ci manca un’America così lontana da Standard & Poor’s e così vicina al nostro comune sogno di libertà, senza limiti e senza condizionamenti. E meno che mai quelli di una fottuta agenzia di rating!

Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...