Una delle cose più belle quando rientri da una [lunga] missione è quella del disfare le valige, riempire la lavatrice con magliette, intimo e calzini acciancicati dentro una busta el'altra (cosa bella) è mettere al loro posti i due e tre libri che in genere mi porto al seguito. In questo ennesimo tour in terra siciliana, pensando di avere molto tempo a disposizione, ho portato queste letture ( non ho voglia oggi di scrivere quello che ho visto, mi prendo un po’ di tempo per un post political orienateted ) : Primo libro che ho letto e finito. L’ho iniziato aspettando un aereo e l’ho finito…aspettandone un altro. E’ DOC SAVAGE, LA FORTEZZA DELLA SOLITUDINE, di Kenneth Robeson. Edito negli anni ’70 in una serie parallela ad Urania, Doc Savage è un personaggio che mi affascina. Lui può tutto. E quando dico tutto vuol dire tutto. In un precedente romanzo scopro che parla più di venti dialetti egiziani antichi. In altri nuota per ore sottacqua con delle semplici mollette sul naso e poi mena a destra e manca senza avversari. Ha accesso a della tecnologia che ancora oggi è fantascienza. Ma le storie sono tanto leggere quanto credibili e Robeson riesce sempre ad inventrarsi ‘na palla assurda, ma tanto assurda che alla fine non stona nel contesto del personaggio.
L’altro libro, ma direi pamphlet. È di Silvio Pellico, DEI DOVERI DEGLI UOMINI. Una vecchia edizione del 1963 che porto spesso con me quando intuisco che la missione umanitaria che mi troverò ad affrontare potrebbe mettere in serio dubbio il mio senso del dovere. Direi che in questo caso la lettura impegnata del capitolo 1 – Necessità e pregio del Dovere è stata terapeutica. Leggete quì: All’idea del dovere l’uomo non può sottrarsi; ei non può non sentire l’importanza di questa idea. Il dovere è attaccato inevitabilmente al nostro essere; ce n’avverte la coscienza fin da quando cominciamo ad aver uso della ragione, e sempre più forte quanto più questa si svolge. Santo subito amico Pellico ( anche lui langhetto, come Pavese e Fenoglio. Bisogna che torni sull’anima ribelle della Langhe prima o poi!).
L’ultima lettura, un po’ impegnata, l’ho trascurata, anche se ne ho letto i primi capitoli, mi è sembrata sin da subito minore rispetto alle illuminati precedenti opere di Hakim Bey. Parlo di IL GIARDINO DEI CANNIBALI, I VIAGGI FLOSOFICI DI UN SUFI BEAT. Su questo testo ci ritorneremo presto perché è in programma a Roma un evento sull’audacia filosofica di Bey nel quale potrebbe essere previsto un intervento del vostro Joe.
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