martedì 5 aprile 2016

Punk do Brasil...

…non so il perché, ma faccio fatica a combinare le parole punk e Brasile. La visione che si ha della musica brasiliana e tutt’altro che ribellistica. Certo non bisogna per forza aumentare il volume dell’amplificatore per essere punk, ma certamente una batteria che spacca, un basso che pompa e una voce che graffia sono gli elementi per accostare un qualsiasi suono -  e di conseguenza anche le parole, ad una cultura ribelle.
Lettori più “acculturati” mi potranno ribattere che c’è molto più [ cultura ribellistica ndr] nella forza delle parole, che non in una manciata di accordi suonati veloci. Vero!
….pero voglio segnalarvi questi The Pessimists da San Paolo, in Brasile…testi in portoghese, suono un po’ post-punk e struttura proto-punk! Un trio basso, chitarra e batteria!
Cosa dire, se non un condividere con voi un semplice massaggio…sarà la globalizzazione, il WTO, l’International Trading approach, ma l’idea che a San Paolo del Brasile dei ragazzi ascoltino Ramones, Sex Pistols e Clash e altro dopo una partita di fùtbol sulla spiaggia mi fa…incaz**re!
Sono invidioso…chiamo i miei amici e mi organizzo un calciotto-punk!
Viva Joe Jordan, viva Spadoni e Viva i Bloody Riot!

giovedì 24 marzo 2016

GENERACION SUICIDA. Vecchio punk da LA



Voi miei fedeli e pochi lettori sapete che il punk su questo blog non solo è di casa, ma è una colonna – i termini di contenuti, dell’attività ribellistica del blog stesso. Anche se non né accenno con costanza surfando nella rete mi imbatto in un mare magnum di iniziative che si possono classificare – anche se spesso in forma superfiale, come “punk”.
Magari un giorno troverò il tempo per scardinare il concetto di “punk” così come si è evoluto per ricondurlo ad un ortodossia il più possibile aderente al messaggio rebel. Questo ovviamente non in modo edonistico, né meno che mai di moda, come in questi ultimi anni sembra essere stato consolidato.
Dopo l’orgia del meglio morire giovani che invecchiare così, proclamato da dinosauri de punk dei giorni d’oggi si è un po’ perso quell’approccio del question authority che dovrebbe essere un modo di vivere di qualsiasi punk. Con o senza giubbotto di pelle!
…comunque ci torneremo sopra, ora solo poche righe per segnalare un combo punk veramente “che spacca”. Generacion Suicida. Gruppo HC di Los Angeles, vecchio stile. Grande stop and go! Testi in spagnolo, ritmo HC, suono pulito e decisamente DIY.
Cercateli un po’ ovunque online, io vi giro il loro sito su bandcamp!
Punk will never die!

martedì 22 marzo 2016

The Albert Ayler story...to be told!

Già è molto difficile parlare di Jazz, visto che quest’espressione di musica afro-americana non appartiene al tessuto culturale europeo, addirittura promuovere la cifra stilistica di Albert Ayler è, se non un azzardo, un audacia! In alcuni precedenti post avevo accennato alla preparazione di un libro/pamphlet sul sassofonista di Cleveland, sulla sua misteriosa morte e di come, nella costante ricerca di un suono che non sia omologato e che lo affranchi da schemi melodici e strutturali, in qualche modo abbia promosso quegli atteggiamenti di rottura che anni dopo troveremo nel Punk! Ayler è – per motivi che ignoro, ritenuto una sorta di comprimario difficile. La sua linea avanguardistica sempre nascosta nell’ombra di John Coltrane, l’anima spirituale ostica, poiché nei dischi espressa più per la sua rabbia che non la gioia. Un atteggiamento spesso austero lo ha allontanato dai media del tempo. Se si pensa che la BBC – dopo aver filmato circa 30 minuti di video, ha ritenuto di doverlo "bruciare" e non diffonderlo vista sia la difficoltà del suono che la poca copmprensione dei temi trattati nell’intervista.
Tra le molte dichiarazioni su Ayler la più divertente è senza dubbio quella di Dan Morgenstern, su Down Beat: “A Salvation Army band on LSD."
Tutto questo pre segnalare – e perché no, promuovere una sorta di best of della ESP Disk “The Albert Ayler Storycon circa 66 brani e un interessante libretto in PDF, scaricabile per pochi euri sul sito della stessa ESP.

lunedì 21 marzo 2016

Non credo alle rivoluzioni dei Likes di FaceBook!

Sempre vestita in un austero abito nero, il viso incorniciato da un colletto di pizzo e cappello nero, di modesta altezza e spartana nella sua immagine pubblica.  Mother Jones fù una combattente senza paura nel difendere i diritti dei lavoratori, in un America fortemente indirizzata verso un proto-liberirismo sfrenato. Fu etichettata come "la donna più pericolosa in America" da un procuratore distrettuale degli Stati Uniti. E forse non si sbaglio.  Mary Harris "Mother" Jones divenne famosa per le sue splendide ed incisive qualità di oratrice. I suoi sermoni, comizi, ma anche invettive e critiche, furono come “armi” durante le proteste dei minatori americani ( la maggior parte dei quali emigranti europei!) all’inizio del ventesimo secolo. Folle enormi ascoltavano le sue parole, pine di grinta e rabbia! Irish blood!
La sua voce aveva un grande potere di trasporto. La sua energia, il suo coraggio e la passione per i temi dei diritti civili dei lavoratori e dei diritti delle loro famiglie – concetto innovati nell’America degli anni venti, spinse le stesse donne dei workers, mogli, madri e figlie, ad impegnarsi nelle diverse e – spesso – pericolosa battaglie!
Un suo commento al rischio di essere di nuovo arrestata lasciò un “debole” sindacalista sorpreso: "Sono stata in prigione più di una volta e mi aspetto di andarci di nuovo. Se sei troppo codardo per combattere, combatterò da sola".
In un momento dove l’Europa si piega sempre più ad interessi di “gruppi di potere” , identificati non in base alla capacità di rappresentare gli interessi dei più, ma bensì dei pochi, molto influenti  e spesso più ricchi, mi manca una figura così solida. Una figura che, nei modi, nei comportamenti, ma – soprattutto, negli esempi di vita, sappia indirizzare, o almeno ipotizzare, una visione diverse della nuova forma di collettività. In fondo Europa, Italia, Roma, Portunese, noi tutti non siamo altri che espressione di comunità, dove l’obbligo di una reciproca assistenza, ma anche di una fattiva forma di collaborazione e contribuzione all’esistenza della stessa comunità, è la base per una naturale dignitosa sopravvivenza.
Quando pochi si avvalgono – per interessi edonistici del lavoro di altri comincio a preoccuparmi!
Non era così prima della Rivoluzione Francese? Abbiamo bisogno di altre Bastiglie?
Non lo so, quello di cui però sono certo che se ci fossero stati FaceBook, Twitter e altri social del Caz** non avremmo avuto folle ad ascoltare Robespierre, né tantomeno Mother Jones e non ci sarebbero state sicuramente sollevazioni!
Non credo alle rivoluzione dei Likes su FaceBook.
We miss you ( wherever are you now) Nex-to-be Mother Jones

lunedì 7 marzo 2016

Ono, Porta Portese e Buddha

...andare in giro per Porta Portese a Roma, perdersi tra i banchi di qualche svuota-cantine ( a dire il vero sempre più rari!) e imbattersi in un mucchietto di libri vecchi, decisamente vecchi, in inglese. Pieni di polvere e con i risvolti ingialliti. Case editrice improbabili, anche perché sconosciute con dei titoli assurdi. Poi, però, come dico spesso il Buddha si rivela nella sua naturale essenza, ci porge la possibilità di una via nuova, ma non forza la mano. Lascia a noi la scelta e pochi euri diventano la “possibilità”. Sotto una decina di libri fotografici su NYC, America e the Growing forest in USA, decisamente più appetibili per i clienti del mercato popolare, intravedo la parola Yoko ono e – come in un campo di grano il germogliare di pochi papaveri è un momento “magico” – piccoli tesori emergono.  The Playboy Interviews With John Lennon and Yoko Ono: The complete texts plus unpublished conversations and Lennon's song-by-song analysis of his music del 1980, Yoko Ono: Between the Sky and My Head del 1999 ed anche The Last Interview: John Lennon and Yoko Ono relativa ad un intervista del 1980, già pubblicata su PlayBoy, ma  mai completamente “sbobinata”.
In tutto 9 euri. Il costo del biglietto per il mio viaggio verso un mid-term Nirvana è decisamente economico. D’altronde non si dice che i soldi non fanno la felicità?
Hi! My name is John Lennon
I’d like you to meet Yoko Ono.
Vi basta come Presentazione?

martedì 1 marzo 2016

40 anni e non sentirli. O forse si! Fuc*!

Ancora in ritardo! In giro per il mondo per lavoro e lontano dal mio blog! Fuc*! Berlino, Tehran, Varsavia, ma anche Milano e Bolzano. Sono stanco ( anche di continuare a promettere a voi – sempre meno lettori, il re-styling del blog. Ma credetemi ci siamo!).
Però tra aeroporti e stazioni e noiose halls di hotel ho avuto modo di leggere molto e tra questo “molto”, tanto era riferito al quarantennale del punk! Wowowowow…quante celebrazioni per questi “vecchietti” punk e pensare che proprio i Sex Pistols lanciarono il loro singolo God Save the Queen nel contesto del Giubileo! Fu un atto di provocazione, non certo di festa! Comunque quarant’anni sono passati e “noi” siamo ancora qui e – cosa più importante, lo spirito è lo stesso! Certo mi sento più a mio agio in un centro sociale romano con i miei coetanei Bloody Riot che – con enorme sorpresa – riescono, non solo a riempire l’ACROBAX di Roma ma anche a farsi seguire nei loro slogan No Eroina, Contro la Stato da giovani ventenni che conoscono tutte-dico-tutte le loro canzoni, che non in noiosi dibattiti di improvvisate librerie “contro”. Comunque quarant’anni sono passati e interessanti e preziosi dettagli emergono da polverosi archivi.
Nel numero di febbraio di Mojo un bel Punk anniversary special annuncia 30 pagine di “storia punk”. Dodici shots divisi per mese e uno mejo dell’altro. Intersante la pagina sul sound from the street ( April) con riferimento al pub rock, Dr. Feelgood, 101’er di uno Joe Strummer ancora freak. Ma questo è senza dubbio l’humus nel quale il punk inglese si è infettato! Sniffin’ Glue ( devo dirvi che è una fanzine? ) nella pagina di Luglio, La rivolta di Notting hill e la contaminazione reggae nella pagina di Agosto e la storia del singolo Anarchy in the UK nella pagina di Novembre. Interessante, ma anche un po’ triste l’Epilogue con le foto di “vecchi” punk come Glen Matlock, Chris Spedding, Dave Vanian che parlano dei giorni passati.
Bello e ben fatto anche il numero 33 di Vive le Rock magazine. Già per core business questo mensile si occupa si garage, punk e rumori vari, ma l’ultimo numero “celebra” anch’esso i 40 anni della nascita del punk. Non perderò minuti per dirvi che è una rivista 100% punk da pagina uno alla fine. Cercatela! Decisamente divertente.
Ovviamente on-line c’è di tutto, non vi suggerirò pagine web poiché sono davvero centinaia, ma le parole chiavi per iniziare una ricerca di “qualità”. Anche se il sito punk.london website dovrebbe bastare. Comunque andate on line con  40th anniversary punk e…enjoy the party!
Però, da vecchio punk faccio mio lo slogan dei Negazione: Lo spirito continua e festa o non festa….fuc* off!
Keep on, keepn’on!

martedì 2 febbraio 2016

Informazione Libera: Parole nel Pallone: calcio e letteratura a Bologna

 
Il rapporto che unisce calcio e letteratura da oramai più di cento anni ha permesso di parlare di tutto ciò che vive fuori dai bordi del campo (politica, arte, culture) attraverso una sfera rotonda che girando descrive/racconta varie sfaccettature della società. Giganti della letteratura hanno versato fiumi di inchiostro sottolineando l’importanza del “fùtbol” come veicolo per raccontare il mondo: scrittori come Galeano, Soriano, Montalban, Arpino hanno narrato la contemporaneità in opere “letterario-calcistiche” di rara bellezza.
Ma l’elemento più bello
del rapporto che lega parole e pallone sta nel semplice fatto che in tanti l’hanno attraversato giocandoci: da bambini si sono immaginati adulti e da adulti viceversa bambini, dando voce alle proprie passioni correndo appresso alla palla che rotola.
Negli ultimi anni, nel nostro paese abbiamo avuto una diffusione esponenziale di blog e portali web che sono voce a pieno titolo delle tante storie sul calcio e oltre il calcio; in contemporanea si articolavano tante discussioni intorno a nodi come le trasformazioni del tifo organizzato e delle curve, come aveva tracciato già anni fa il “sociologo di strada” Valerio Marchi, fino ad arrivare alle nuove esperienze di sport popolare che sono diventate una realtà diffusa e importante nello stivale che calcia il pallone. In questa edizione di “Parole nel Pallone” scopriremo, insieme a tanti esponenti della sfaccettata sfera calcistica, cosa voglia dire scrivere di calcio di ieri e di oggi, provando ad andare oltre, confrontandoci assieme come attraverso la scrittura possa dare una dimensione diversa ad un’esperienza meravigliosa: quell’eterno ritorno dell’azzuffarsi gioioso verso il gol.
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