martedì 26 aprile 2011

Prima di beppegrillo.it! E' tempo di scendere in campo...



Certo la cosa mi diverte. E molto! Come molti sapranno non ho avuto mai particolare simpatia per il BeppeGrillo.it, né per la sua visione semplicista e opportunistica ( in termini di monetizzazione, of course! ) del fenomeno anti-berlusconiano. Un giorno dedicheremo un post a quanti anti-B. vivono solo grazie a B.
Però vedere che con qualche giorno di ritardo il vate dei blog arriva alle mie stesse preoccupazioni, un minus in questo campo, mi fa sorridere. A cosa mi riferisco? In un mio vecchio post [qui] mi preoccupavo di questo ritorno di fiamma in Europa per una sorta di nuova destra, estrema e anti-tutto.
Adesso scopro che anche il beppegrillismo si preoccupa di questo [ qui ]. Ne è allarmato, ma non si domanda – se non lui direttamente, almeno tutti i “movimentisti” – quali siano le responsabilità di quei soggetti che hanno sempre teso a “demonizzare” un liberale ( a dire il vero non completo ) come Berlusconi, distogliendo la loro attenzione di chi, veramente, con scienza e coscienza, stà alimentando ansie e paure tipiche di società destrutturate e prossime al caos.
L’Europa ne è l’esempio, l’Italia in piccolo ne stà seguendo la via. Un nord ostile ad un sud inconcludente; una confindustria che chiede più pubblico. Leggi e legislatori in costante conflitto. Banche fuori dal controllo, ricche ma asociali. Anchorman televisivi che sono in video da più di vent’anni che si battono per i giovani. Giovani che si fanno rappresentare da vecchi ex fascisti, ora redenti e importanti.
In questo humus non possono che germogliare idee ed iniziative (finto)rassicuranti ed egoistiche.
Cosa dire…primo, benvenuto a Grillo nel mondo reale, secondo…se arrivo prima di beppegrillo.it mi sa sempre più che dovrò fare politica o rafforzare il mio blog!
Keep on, keepin’ on!

venerdì 22 aprile 2011

Blank Generation...game over?





Lo "sguardo vacuo" che domina la copertina di questo LP, e la 'seminale' foto a torso nudo violato da un laconico 'you make me' (é qui che nasce l'iconografia e l'immaginario punk) sembrano sfidarci, scavarci dentro e farci sputare fuori l'animo ribelle che risiede dentro ognuno di noi e che abbiamo coltivato durante l'adolescenza. La voce di Richard Hell nei primi solchi del vinile, in quella tanto travagliata Love Comes in Spurts, trasmette da subito una sensazione di isteria, di nevrosi, come le stesse performances della band, ed il look di Richard: capelli mal tagliati, vestiti semi-distrutti e chiazzati di sangue, atteggiamento strafottente. In Richard si coniugano le varie anime del rock underground degli '80 (poesia, senso di frustrazione, psicosi): egli recupera dalla sua minuta cultura musicale piccoli frammenti di Bob Dylan, Lou Reed, Iggy Pop, John Fogerty, e fà di Malcom McLaren un Marco Polo inglese in quanto il rosso produttore situazionista ascoltando i solchi del 7" prodotto da Ork, architettò la giusta direzione verso la quale dirigere i Sex Pistols. Il primo brano ci dà un perfetto ritratto di un cuore infranto, di un amore non-corrisposto nel giusto modo:
"l'amore giunge a sprazzi/sprazzi pericolosi che uccidono il tuo cuore/ma questa parte non te l'hanno mai detta, baby!".
Schiaffi atonali di chitarra ci introducono in Liars Beware, una slam-dance con argomento io-contro-loro molto comune nel punk. La maniera in cui qui Hell sciorina i suoi versi intrisi di rabbia e slang sono figlie del Bob Dylan (influenza e devozione sempre dichiarata dal bassista) che abbiamo adorato tramite brani come Thombstone Blues o Subterranean Homesick Blues, brani nati dallo stesso malessere urbano. Il deperimento emotivo del primo brano si concretizza in New Pleasures, caratterizzato da una ritmica piena di stop & go: potrebbe fungere da anthem ad una storia d'amore tra due persone accomunate dalla propria diversità:
"la tua mente è un rottame, ma va bene, corrisponde alla mia!", "sei diventata troppo fiacca per la vita", "ci sei troppo dentro non puoi sopravvivere, come fai ad arrivare oltre i 25 anni d'età?"
Betrayal Takes Two è il quarto brano del primo lato ballata con tanto di storytelling, fungerà tra spartiacque tra il caos iniziale e quello successivo di Down at the Rock’n’roll Club che fotografa le movimentate serate trascorse nei sobborghi newyorchesi. Il rock é pulsante con le chitarre che rombano, si perdono, si ritrovano, si rincorrono (ascoltare la versione originale uscita solo sul vinile e non l’obbrobrio pubblicato sul formato digitale). Quindi un brano che non supera i 2 minuti e che racchiude già nel titolo tutta la weltanschauung di Richard Hell: Who Says (it’s good to be alive)?, con un testo pieno di domande senza risposta:
“una volta nato ne sei dipendente/gli usufruitori non riesco a vedere il proprio orrore, faglielo notare se la vuoi annoiare/siamo asettici e statici dove non c’è nulla di buono, (ma) è solo un continuo dimenarsi”.
Non racchiude solo la visione poetica ma anche quella musicale del gruppo: lo slittare da una tonalità all’altra, con le 2 chitarre che si intrecciano in una visione del rock contorta, sostenute da un ritmo sempre irregolare. Sulla side B subito Blank Generation, il brano-manifesto dell'estetica punk newyorkese. La genesi è lenta, ci rendiamo conto di cosa stiamo ascoltando solo quando Richard irrompe con una frase degna di un racconto di Edgar Allan Poe:
“Dicevo ‘cacciatemi via di qui!’ ancora prima che fossi nato, è rischioso avere una faccia”
Il testo di questa canzone é la perfetta anamnesi della “generazione vuota” della quale Hell è parte ma, non deve prestarsi forzatamente ad un interpretazione decadente della vita: l’inutilità della sua generazione rappresenta uno spazio da riempire e tutti possono farlo (è anche il messaggio del punk newyorchese tutto).Segue la cover di un brano dei Creedence Clearwater Revival, Walkin on the water per poi arrivare ad una canzone che sembra uscire dalla penna di Verlaine: The Plan è un brano (quasi una ballata), molto più ‘normale’ rispetto agli scampoli di nevrosi precedenti. Una storia a lieto fine, ambientata prima tra ‘mura aliene’, poi con un amore appassionato, appassito e ritrovato. Siamo giunti alla fine, la lunga (8 minuti) Another World. La voce di Richard é quella di un paranoico incerto nell’esprimere i propri sentimenti mentre il brano procede lento, con pochi accordi melodici, per poi esplodere tra urla e sconnessi squilibri chitarristici. “Punk più nello spirito che nelle fattezze sonore” (Le Guide Pratiche di Rumore, Punk, pag. 69) è la frase che sintetizza al meglio un album come questo. Richard Hell era probabilmente conscio di aver sfornato un album epocale, ritratto di un periodo storico unico e irripetibile: un album a sua volta irripetibile che suona perennemente attuale.
"The Blank Generation" era stato anche il titolo di un film del 1976 di Amos Poe (regista essenziale dell'avanguardia punk) ed Ivan Kral (Patti smith Group),("Blank Generation Movie Trailer") altrettanto fondamentale per la scena newyorkese del disco di Richard Hell: ci si può vedere in azione allo storico CBGB la crema del punk-new wave di quel periodo, Patti Smith, Blondie, Television, The Ramones, Talking Heads, The Heartbreakers, The Shirts, Wayne County, The Marbles, the Dolls, Miamis, Harry Toledo, ed i Tuff Darts con Robert Gordon. Performances di Richard Hell & The Voidoids ci sarebbero state soprattutto nell'altro "Blank Generation" movie girato nel 1980 da Ulli Lommel, storia di Nada (Carol Bouquest), giornalista francese trapiantata a New York che ha una relazione con una nascente punk rock star, Billy; nel film appare anche Andy Warhol.

[tratto da blog ]

martedì 19 aprile 2011

Un figlio della sua terra che non c'è più.



Non è mai facile parlare di morte, né meno che mai della morte degli altri. Quando poi questo evento ineluttabile coinvolge persone ricche e famose inevitabilmente genera una sensazione di distacco e forse, ma dico forse senza convinzione, anche di indifferenza. Era ricco, che và cercando? Ha vissuto meglio di me!...frase comune e, se non nella sintassi, nella sostanza, sentita decine e decine di volte in queste ultime ore quando ho appreso della morte del giovane Ferrero.
I pochi ( ma in costante aumento) lettori del mio blog avranno capito quanto io sia attratto dalle Langhe e dalla loro asprezza oramai dimenticata.
Mi sono innamorato di questa miseria con una novella di Fenoglio, La malora, dove un bambino si trova a vivere una sua odissea personale e adolescenziale in un mare mossa dalla miseria e sofferenza agreste. In questa novella la terra di Langa è nemica. La vita bucolica non così affascinante e romantica come un altro grande scrittore langhetto ben disegnerà nel tempo, Cesare Pavese, ma ostile. La gente di Langa greve, cruda, con i volti segnati dal lavoro e il disincanto, con Fenoglio non c’è spazio per il futuro, ma solo momenti di dura vita campestre. La terrà di Langa è [nel racconto] in conflitto con la sua stessa gente, ingenerosa ed egoista.
Ma arriva la realtà dei giorni nostri, e se adesso Alba, Benevello, Lequio Berrio, la birra Baladin, la bella vita ( forse anche più dolce di quella romana degli anni sessanta? ) rappresentano l'oggi, lo si deve anche a uno dei suoi figli più laboriosi e langetti. Greve, riservato, ingrugnito, ma generoso – senza batter grancassa – e amato, Michele Ferrero.
Ho conosciuto le Langhe ai tempi dell’alluvione e le frequento per sentimento da molto tempo e non posso non aver notato come la presenza del brand Ferrero significhi molto di più che benessere commerciale e richezza, in qualche modo quest’uomo ha trasmesso alla sua gente l’idea del "ce la facciamo da soli. Noi contro la nostra terra". E questo è ciò che accade, i Langhetti non piangono. Soffrono, ma non si fermano sulla loro terra. Sempre avanti.
In un momento dove la frammentazione del territorio genera incertezze e indebolisce ogni forma di identità, la Ferrero ha costruito – suo malgrado? – una forte dinamica di appartenenza ad un terreno, che prima ostile, ora domato, è diventato uno dei più piacevoli d’Italia, forse d’Europa.
E se è vero che i langhetti non vanno al di là de Tanaro, non sarà che non vogliono nessuno al di qua?
Next to come:Free Langa Movement.org

lunedì 18 aprile 2011

Arriva l'ultra-destra europea...ma non ci disturbate.


E’ successo ancora. E mentre noi ci perdiamo in minuziose questioni berlisconiane, con particolare attenzione anche ai comportamenti sessuali, sintomo di un non bel celato ritorno al puritanesimo, il resto dell’Europa – la nostra Europa! – manda segnali chiari. Anche la Finlandia ha un anima di destra, ma non di quella destra liberale che vede l’individuo al centro di ogni scelta (responsabilità), ma di un ultra-destra con ispirazioni fasciste, naziste, comuniste. Un ista destra. Niente di nuovo, anzi, un processo lento e costante e appare improbabile che si possa arrestare in modo semplice con gli strumenti che comunemente chiamiamo “democratici”. Nella liberale Olanda come nel rigoroso Belgio o in Svezia, patria socialdemocratica di un Welfare per anni invidiato. In Ungheria, Slovacchia e Romania, partiti dall’anima [pseudo]fascista raccolgono consensi insperati aggrappandosi ad antichi ideali ed esacerbando i confronti con l’«altro», in genere le minoranze, gitani o ebrei non pare far differenza. Ma una visione più approfondita ci mostra come ci riescono anche nel nome della «Libertà» a cui dedicano i loro partiti, come fece Jörg Haider, che nel 1999 convinse il 25% dell’Austria a votarlo, e come è riuscita a Geert Wilders, il leader antislamico dei Paesi Bassi che cavalca la «minaccia» dello straniero e la delusione verso partiti tradizionali che tiene in scacco dal voto belga da giugno. Adesso la Finlandia. Il paese up there! In Europa si sta presentando un movimento nuovo che, benché osteggiato con interventi di editorialisti nobili e illuminati ( età media 70 anni!!!), identifica un’ampia parte di quelle persone che non si sentono rappresentate, ne “coinvolte” in un territorio come quello europeo. Il senso di appartenenza è l’elemento “chiave” che la giovane Europa non è riuscita a costruire; né tra la generazione nuove, meno che mai in quella vecchia. La dove manca un appartenenza territoriale, se ne costruisce una diversa: ideologica, razziale, comunque “di territorio”. Non guardo con preoccupazione a questi fenomeni, la modernità della nostra società ha nella sua condizione di tempo (appunto modernità) gli anticorpi per annacquare queste tendenze, sino a renderle politicamente rilevanti, ma non pericolose. Cosa mi preoccupa è la visione provinciale della nostra classe politica. Popolo viola, articoli 21, dipietrismi e cultura dell’8 settembre sono il sale dell’azione sociale e politica della “classe-dirigente” del nostro paese in questi giorni e quando hai nostri confini a nord si schiereranno eserciti filo -isti e a sud quelli pronti per l’invasione dei poveri dell’Africa, la nostra questione sarà…quanti bunga-bunga ha fatto Mister B.? E le ballerine? Si sono spogliate o no? E se si, sino a dove? …preparatevi Montezemoliani e Sinistra-Chic! Me sa che mo so caz**!!!

sabato 16 aprile 2011

Obama or Montezemolo? What a decision...


Un treno interregionale mi riporta a Roma dopo un breve soggiorno in terra umbra. Viaggio morbido passando tra paesaggi dolci e accompagnato dal mio IPod e una bella selezione di Johnny Cash. Cos’altro? Un piccolo pamphlet che ho cercato da tanto tempo; Il Nuotatore, di John Cheever ( ritornerà in futuro sulla capacità novellistica americana, da Fitzgerald a Hemingway ). E che nelle sua 50 pagine intendo tuffarmi! Ma sin da subito, dopo aver letto le prime, precedute da una bellissima ( e centrata ) introduzione di Fernanda Pivano, un concetto è emerso con forza. E sin dall’inizio si pone come spina dorsale dell’intero racconto: la comunità. Neddy Merrill attraverserà il suo destino nuotando nelle piscine dei suoi amici, del suo villaggio ( comunità) per ritrovarsi poi da solo. Comunità dicevamo. Per avere un idea dell’importanza dell’aggregazione territoriale in America basterebbe citare un pop-film, Footlose, ma quello che è importante è comprendere come in America la comunità abbia la sua rappresentatività e forza. Un sistema, come quello americano, conteale prevede che esista una società civile che si conforma sul territorio, esercita una giustizia conteale ed ha un immediato impatto sulla [sua] gente. Poi dalla contea si sale sino alla città, Stato (federato), interessi nazionali e Corte Suprema. Ma è dal basso che la Corte Suprema riceve le richieste e “legifera”. Da noi? L’opposto! Lo Statao decide per noi, top down! Poi “litiga” con la Consulta che, in un ottica tutta politica, autoreferenziale, argomenta sul “è giusto, non è giusto” per i cittadini. E noi, come bambini obbbedianti, ci comportiamo come ci dicono.

E’ questa la macroscopica differenza tra la società civile americana, cha sa esprime una vera e credibile public opinion, e quella italiana, dove – in virtù di un macroscopico distacco – la classe politica ritiene di diver indirizzare la nostra vita nel nostro interesse. Waht a fu**! Lo so da solo quello che voglio ed è giusto per me!

Solo una società che sa interpretare al meglio le aspettative dei singoli individui, espresse attraverso la più semplice forma di aggregazione, comunità, e le sa armonizzare con l’interesse generale, anche nazionale ( ma non mi esalta la parola Nazione), potrà definirsi rappresentativa e democratica. Altre forme di tutela, anche con una cornice costituzionale, se non in grado di garantire una piena libertà comportamentale, diversa da individuo a individui, da villaggio a villaggio, da città a città, non potrà mai definirsi democratica, anzi – inevitabilmente – genererà una forma di tutorial approch da noi non richiesto.

…ma mi sa che stò gettando le basi per la mia entrata in politica! E mo chi jo dice a Montezomolo? –un altro che pensa che sia un bene per me se scende in campo! Ma chi caz** te l’ha mai chiesto!!

E a Obama? Che pirla. Lui ha chiesto all abase di aiutarlo nella sua ricandidatura, Montezemolo l'ha deciso lui. Je basta!

Be tuned and be free!

martedì 12 aprile 2011

Ancora Mamma Jones?

«L'autobiografia della Jones, l'ho letta con vero piacere. Descrivendo le lotte operaie, condensate e spogliate da ogni pretenziosità letteraria, Jones mostra lo spaventoso quadro dei bassifondi del capitalismo americano e della sua democrazia. Non si può leggere, senza fremere e maledire, le sue descrizione dello sfruttamento e del degrado dei bambini nelle fabbriche». Avere come recensore Lev Trotsky [Journal d'exil, 1977] non è da tutti, ma colgo l’occasione del rinnovo dell’abbonamento alla rivista MotherJones per diffondere questa edizione della Elytra Edizioni sulla vita (audace e coraggiosa ) di una giovane irlandese Mary Harris Jones, più conosciuta nel mondo dell’impegno politico americano come Mother Jones. Per questioni personali ho vissuto parte della mia vita e dei miei affetti tra irlandesi ribelli e americani pragmatci e credo che rileggendo la storia personale di Mother Jones, chiunque abbia un minimo di confidenza all’approccio ribelle del popolo celtico e l’essenzialismo americano, non possa non desiderare una nuova Mother Jones anche in Italia. In che termini? Uno su tutto, la sua visione sociale ( ma anche solidale) non contrasta assolutamente con l’obbligo degli indivui di sforzarzi per aiutare chi rimane indietro, non è obbligo della società aiutare chi non ce la fa, ma facilitare le comunità alla loro cultura mecenatica. E chi non ha voglia di farcela è giusto che rimanga indietro. E’ la forza del commitment ( intraducibile in italiano) che ha spinto questa donna a rappresentare la necessità di farcela "da soli". Niente aiuti, ma neanche bastoni tra le ruote. Liberi e responsabili. Non schiavi e assistiti. Forse una nuova forma di Comunismo yankee? Credo che ci ritornerò sopra. Intanto grazie ai tipi della Elytra Edizioni per questa bella e coraggiosa pubblicazione. ( Da inviarne una copia ai nostri rappresentati sindacali per capire cosa significa "mandato" da parte di chi lavora e di cosa si aspettino da questo "mandato" tutti i lavoratori).


Comunque, please, supportate questo magazine e credetimi, non è questione di essere di destra o sinistra, la questione è essere liberi e responsabili o...nulla all'orizzonte! [abbonatevi a MotherJones ]

Keep on, keepin'on

lunedì 11 aprile 2011

What a smile Suze!!!


Appena rientrato a casa dopo un altro piccolo viaggio mi trovo un aspettato bel pacco da Amazon. Un’altra delle bellezze dell’era digitale e dello shopping virtuale. Trovi quello che desideri direttamente a casa ed al costo di una pizza e una birra...e caffè! Avevo dimenticato di aver ordinato, per poche sterline, alcune CD di Bob Dylan del periodo Greenwich; The Withmark Demos, The bootleg Series Vol 1/3 e il recente Live at [ Univerity ] Brandeis del 1963. Non sono un amante di Bob Dylan, anzi dopo lo splendore, anche se parlerei più di genuinità, degli anni sessanta il nostro si è un po’ perso. Ma se si circoscrive la storia culturale americana agli anni sessanta, e lo si fà per un interesse particolare per quel periodo così liberal del mondo occidentale, sicuramente al songwriter Robert Allen Zimmerman spetta un ruolo da protagonista. Sugli anni sessanta americani tutto è stato scritto e di tutto si trova sia on-line che in versione cartacea, ma considerare quei giorni come fondamentali per la storia moderna di un mondo occidentale moderno non è certo azzardato. Anzi, per chi scrive, quei pochi anni hanno avuto un umpatto sui giorni d’oggi, in termini culturali, sociali e dei diritti civili minimi, pari solo all’importanza della cultura romana sull’europa così come la conosciamo. Esagerato? Forse. Ma senza i Kennedys, Bob Dylan, Marthin Luther King, il Flower Power, il Black Party, Timothy Leary e la psicadelia, il vietnam e il suo opposto avremmo una società occidentale così come la conosciamo ora? …comunque, solo poche righe per ricordare un personaggio minore dal punto di vista letterario ma un gigante nella cultura iconografica del nostro tempo. Di chi parlo? Susan Elizabeth Rotolo. "Chi è" diranno in molti. Già, chi fosse o cosa facesse e come ha speso la sua vita lo sanno in pochi, ma la sua foto l’avranno vista in milioni. Suze Rotolo e la dolce ed innamorato ragazza che abbraccia Bob Dylan nella copertina dell’ album The Freewheelin’. Una foto che mi è sempre piaciuta; una New York invernale, macchine anni settanta, il furgoncino della Wolkwagen ( simbolo di libertà e già apparso come cavallo moderno nel film Alice’s Restourant ), i Jeans di Dylan e l’Eskimo di Suze, il freddo della grande Mela e il sorriso soave di Suze. La neve del Village e l’amore di lei per lui. Suze è venuta a mancare poche settimane fa. Ma credo che rimanga il desiderio - e ci abbia lasciato questo desiderio - di molti avere una compagna così innamorata che ti abbraccia in una fredda giornata d’inverno mentre cammini nelle strette strade del Village. So long Suze!

mercoledì 6 aprile 2011

Ancora il vecchio amico Brautigan

Richard Brautigan è stato il prototipo e in un certo esempio l'esempio lampante della cultura libertaria degli anni Sessanta, la stessa dei Grateful Dead, di San Francisco. Con Jack Kerouac ad illuminare e ad ispirare, tra follia e poesia. Richard Brautigan, però, aveva una "visione" tutta sua dei sogni, delle speranze, delle utopie di quegli anni: stralunato, caotico, irriverente, surreale ha attraversato la narrativa e la letteratura come una meteora, con uno spirito incendiario e iconoclasta. Basti pensare all'idea di noir sviluppata in Sognando Babilonia, un romanzo tanto divertente quanto amaro con un protagonista, C. Card che sembra essere l'alter ego di Richard Brautigan e un rappresentate di primissima qualità della particolare razza di quegli inguaribili sognatori. Tutti dediti, in modo e in misure differenti, alla lettura come strumento per affrontare la vita: se C. Card si lascia travolgere dalle parole ("Mentre leggevo il romanzo paragrafo dopo paragrafo, pagina dopo pagina, traducevo nella mente le parole in immagini, da guardare e mandare avanti veloce come un sogno"), il protagonista de La casa dei libri trasforma una biblioteca in un luogo della mente, un approdo sicuro, un posto per tutti. Le sue regole riguardano la vita, più che l'orario di lavoro: "Qui ci deve essere sempre qualcuno. È lo spirito di questa biblioteca. Ci dev'essere qualcuno ventiquattro ore su ventiquattro a ricevere i libri e dar loro il benvenuto. È il principio fondamentale di questa biblioteca. Non si può chiudere. Deve restare aperta". A maggior ragione se a bussare è una splendida ragazza, Vida, che sul piatto tiene Beatles, Rolling Stones, Byrds e Johnny Cash. "Nella vita non c'è spazio per tenere tutto" diceva uno dei 102 racconti zen e un libro lo si può sempre parcheggiare su uno scaffale, ma ad un corpo mozzafiato, un corpo che tutte le donne vorrebbero (e magari anche gli uomini) è difficile trovargli un angolo. E' il problema di Vida, diventa un caso per La casa dei libri, con la consueta punta di amarezza nascosta sotto la vena irriverente e caustica di Richard Brautigan. Se La casa dei libri è forse il suo romanzo più intimo e personale, Pesca alla trota in America resta il suo capolavoro, quello in cui, come ha scritto Riccardo Duranti, "tentare vie nuove e impreviste, nella vita come nella scrittura, crearsi una realtà alternativa a dispetto delle difficoltà in cui si si dibatte" diventò un imperativo, un modo di vivere. Funzionò per tutti i suoi personaggi, non per Richard Brautigan, che un giorno dell'autunno 1984 si fece prestare una pistola (come C. Card in Sognando Babilonia) e si sparò. Il mondo è un posto troppo piccolo per i sognatori.

[tratto da qui ]

Comunque da leggere accompagnati con il suono di un'altro autore minimalista nella vasta landa americana, ovvero Jonathan Richman.

venerdì 1 aprile 2011

Non si spara sulla Croce Rossa, ma nemmeno sulla Guzzanti!



Come dice il titolo di questo post, non si spara sulla Croce Rossa, ma neanche su Sabina Guzzanti. Se è vero che non si spara sull’Associazione umanitaria in virtù della debolezza delle propria capacità di difesa, invero garantita più per la forza dell’emblema che non dalle armi, è altrettanto vero che sparare sulla Guzzanti ( una dei tre che lavora nel mondo dello spettacolo. Sembra che nessuno di loro abbia la vocazione da…barista!) è troppo facile alla luce dell’indifendibilità delle sue ragioni. Mi spiego. Da sempre l’ortodossia guzzantiana "criminalizza" l’odiato nemico B. su tutto, a partire dalla inquietanti quanto sconosciute ( a sentire il circo anti-B.) origine della sua ricchezza. Bhè, ammesso e non concesso che questa ricchezza sia misteriosa, adesso anche la Guzzanti sa come fare. Investimenti altamente produttivi del tutto sprovvisti di un piano trasparente sulla natura del “dove” e “come” si possono garantire questi profitti.

Et voilà, giovani Mister B. crescono! Anche nell’antagonismo.

Comunque di questa cosa si è ampiamente dibatutto su tutti i quotidiani ( Corriere, Repubblica, il Giornale ), però due i punti che mi lasciano perplessi. Il primo, la banalizzazione della “rete”. Dice la Guzzanti ( due di tre) che «sui blog scrivono quelli più ossessionati», «svitatelli», «persone poco strutturate», «esaltati che non hanno capito una cippa»…lo avrà detto a Beppe Grillo che tutti i suoi lettori sono Svitatelli. E il Popolo Viola? Un circo di esaltati? E le oceaniche convocazione via internet? Ora scopriamo che sono tutti “poco strutturati”?

L’altro punto, il pudore. La necessità di mantenere in un contesto di privacy questa questione. Nell'intervista al Corriere la Guzzanti ( due di tre) non ci dice quanto ha investito. Ne ha come una sensazione di disagio a dover dimostrare di essere “ricca”, una “possidente”, anche lei tra il mucchio di chi vuole (giustamente) arricchirsi senza lavorare, investendo, traendo profitto dal lavoro di “altri”. Ma non ci dice quanto! Ne ha pudore... …e se pensiamo che questo “tanto” arriva da una serie di iniziative commerciali tutte ispirate a Mister B. c’è quasi da immaginarsi che la Guzzanti ( due di tre) nel suo intimo, nella sua invocata privacy, canti a squarciagola…per fortuna che Silvio c’è!!! Vediamo chi indovina chi l’accompagna in coro?

PS. Visto che ci sono…lo dico. Contemporanea a questa brutta figura di una paladina dell’ortodossia altrui, Beppe Grillo fa uno scatto intelligente in avanti. Leggete questo post [qui]su un blog deberlusconizzato. …non mi piace Grillo, ma è innegabile che si smarca sempre in anticipo dagli ipocriti e finti ortodossi. Well done Grillo!
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