sabato 30 gennaio 2010

Un Bunker nella Bowery

Molti conoscono il nomadismo di Burroughs in giro per l’America e nella hype New York ma non molti sanno dove sia stato "fisicamente". Ebbene William S. Burroughs [ http://www.burroughsthemovie.com/ ]viveva in un YMCA parzialmente riconvertito e reso vivibile al #222 Bowery. Chiamava l'appartamento "The Bunker", ed è ancora un sito "vivo" oggi, ancora un'appartamento downtown. Brooklynite’s Peter Ross ha fatto recentemente una serie di fotografie che documentano gli oggetti di Burroughs nel loro spazio naturale, che nel 1997 (quando Burroughs è morto) è stata rilevato dal loro comune amico John Giorno. Per fortuna, Giorno mantenuto per la maggior parte intatto l'appartamento, con la sua originale camera da letto a sinistra esattamente come è sempre stata. Giorno confida al giornalista di come la sua zona preferita fose la zona delle scarpe, e di come quando ascoltava le notizie del mattino davanti ad un caffè americano, ha spiegato, l’occhio gli ricadesse in quell’angolo; "Le scarpe sono solo scarpe, ma solo un uomo indossava i buchi nel fondo di questa coppia. Basti pensare dove queste calzature sono state, le conversazioni che hanno assistito. Queste scarpe probabilmente hanno incontrato molti dei miei eroi del 1970 di New York e '80 la cultura ".
Probabilmente anche i miei.
Hey-o, Let’s Go! Gabba-gabba Hey

venerdì 29 gennaio 2010

Wretched! Still alive!

C’è una ( piacevole ) tendenza vintage in questi ultimi anni sul punx italiano: quella di ristampare vecchi ed oramai introvabili album autoprodotti di seminali ma rancorose band italiane. Tra queste i Wretched di Milano. Dei Wretched si è fatto un gran parlare negli ultimi anni, ma loro sono come scomparsi. La loro totale assenza (insieme alla loro importanza non solo musicale) ha contributo a creare una specie di mito. Non sarò certo io a volerne scriverne la storia (ci pensi qualcun altro, se ha la voglia). Quella dei Wrwtched fù sicuramente una esperienza unica. I primi 7 pollici avevano dei titoli incredibilei tipo In nome del loro poter tutto è stato fatto per distruggere il mondo in cui vivi e costavano solo 1000 lire ed erano pieni zeppi di flayer e grafiche varie. Anche il loro primo e famoso LP 33 fù qualcosa di devastante. Chaos punk a 4000 lire!. Insomma, davvero un gruppo unico. Coerenti con il sistema dell’autoproduzione distribuivano i dischi solo per posta ed era difficilissimo riuscire a contattarli.
Il sistema del Do it by yourself ha prodotto nel nostro paese esperienze interessanti e irriproducbili ( la Blu bus di Torino per esempio, con i Kina e i Franti ) distanti anni luce dalle finte pantomime di BeppeGrilli & Co. I quali, da una parte invocano il vecchio slogan Fuck the system e dall’altro si vendo on-stage a carissimo prezzo nello stesso sistema che contestano.
Punk never die!

mercoledì 27 gennaio 2010

An Old American OutLaw

Nel suo ricordo della San Francisco nel 1966, Keith Abbott ricorda che Richard Brautigan teneva appeso il rendiconto del suo primo romanzo pubblicato, A Confederate General from Big Sur [ recentemente ristampato, senza censure, anche in Italia dai tipi della ISBN di Milano], sulla tazza del cesso: 743 copie vendute. Abbott rimase sorpreso dall’estrema povertà di Brautigan, e dalla sua determinazione a non ricorrere, per garantirsi sostentamento e sopravvivenza, a nessun lavoro diverso dalla scrittura...real punk!
In fondo a queste poche righe trovate il “resto”, ovvero il link, di quanto Daniele Brolli ha scritto su Richard Brautigam, un minimalista del movimento della beat generation, ma ancora oggi ( anche se un po’ meno visti i tempi di virtual massive ribellion ) a tratti considerato un OutLaw.
I Libri di Brautigan sono facilmente reperibili anche nel mercato del 50%. Un "minimalista", come detto, da leggere accompagnato dal suon naive di Jonathan Richman. Un altro americano che ha scelto l’essenziale invece che l’opulenza…tipica espressione della cultura americana.
Ma da noi tanto ambita. God bless AmeriKa

martedì 26 gennaio 2010

Do we eat dogs?Who does...china?

Decisamente rivoluzionario, Why We Love Dogs, Eat Pigs, and Wear Cows [http://www.redwheelweiser.com] , il nuovo libro Melanie Joy, attraverso il quale esplora – in qualche modo - quel sistema invisibile che delinea, definisce se non modella la nostra “percezione” della carne che mangiamo, in modo che benchè amiamo alcuni animali ne mangiamo senza problemi altri senza sapere fondamentalmente neanche il perché. Melanie definisce questo approccio carnism. Il Carnismo è – Secondo Madame Joy - il sistema di credenze, o ideologia, che ci permette di scegliere in modo selettivo l’animale che “possiamo” mangiare e quello che non “dobbiamo”, e questa scelta è sostenuta da complessi meccanismi psicologici e sociali e culturali. Come gli altri "ismi" (razzismo, comunismo/fascismo, ecc), carnism approch è meno pericoloso e contribuisce a creare una filosofia carinvora indivuale propria se si acquisisce la consapevolezza di questa innata tendenza selettiva.
Why We Love Dogs, Eat Pigs, and Wear Cows cerca di spiegare questo fenomeno e offre un esame pragamatico; ma, a differenza di molti libri che spiegano perché non dovremmo mangiare carne, Joyas ci prova a spiegare perché la mangiamo, cercando di farci riflettere sull’ingiustizia di certe scelte naturali.


Love animals!

lunedì 25 gennaio 2010

Are U Free? Are U Really Free?

I romani Ain Soph hanno superato oramai quella fase del fenomeno di culto nella scena, diciamo così, esoterica-industriale.
Un progetto "aperto", un'opera collettiva se vogliamo, che ha coinvolto nomi attorno ai quali si sono sviluppate alcune delle realtà più interessanti della cultura oscura romana.
L'appartenza all'urbe è forse uno dei tratti che più contraddistingue la produzione degli Ain Soph: una produzione che è arrivata ben oltre i confini patrii, opportunamente centellinata negli anni tra cassette, vinili, album veri e propri e dischi in edizioni limitatissime quasi consegnati ad personam.
Un percorso creativo che ha spaziato dalla forma canzone alla musica ritualistica, traendo ispirazione e disciplinandosi dai precetti dall'esoterismo, dalla magia, per poi andare a toccare quanto tra la filosofia, la morale, la religiosità e la volontà, politica e non, potesse in qualche modo porsi in contesti limitrofi al percorso di crescita e maturazione da loro seguito.
Ma è nei principi e nei valori che la produzione Ain Soph subisce una limitativa catalogazione, diventando inevitabilemnte artisti di destra. E pertanto - gioco forza, visto l'attegiamento censorio della grande distribuzione liberista del circuto degli artisti di sinistra - costretta a navigare senza bussola nel mare magnum della circolazione internt.
Data la natura limitata, se non elitaria, di alcune loro produzioni - tra l'altro sterminata e distribuita tra decine e decine di diverse etichette, molte loro opere sono state date nuovamente alle stampe a distanza di tempo dalla pubblicazione. Dal primo album Kshatriya alle diverse cassette pubblicate negli anni '80, sino i più recenti Oktober.
Opere che benchè seminali manteggono tutt'oggi inalterata la sua forza e vena elitiaria. Ma difficilissime da reperire in Italia.
Provate ad andare da una La Feltrienelli qualsiasi e chiedete di ordinarvi un CD degli Ain Soph. E vi renderete conto di come sessantacinque anni dopo la fine della guerra non tutte le prigioni sono state aperte, restano chiuse quelle del pregiudizio e della presunzione e del dovto rispetto per la libertà di opinione di tutti. Insomma, censurati da Sinistra? Naaaaaa.....
Are U free? Are U really Free?

venerdì 22 gennaio 2010

Long live to the Gasometro!

Il plot del film è semplice, nonostante il titolo molto suggestivo: La Comare Secca.
Uccidono una escort ed il cadavere viene ritrovato sulle rive del biondo Tevere in zona San Paolo, Viale Marconi. La polizia comincia a interrogare, in modo violento e deciso, ladri, najoni e ruffiani; i cosiddetti ragazzi di vita. Tutti per un motivo o per un altro transitano nella zona [allora periferica] di San Paolo. Accusati da un vagabondo, due minorenni sono presi dal panico e scappano. Nella fuga uno muore. Il vero colpevole verrà scoperto solo alla fine.
Tutto qui.
Il Film è l’esordio di un giovane e promettente ventenne (il più giovane esordiente del cinema italiano… credo), tale Bernardo Bertolucci.
Molti ritengono che sia un film nello stile pasolinano, poiché Pier Paolo Pasolini ne scrive il soggetto e accompagna Bertolucci nel suo primo percorso di regista, ma l’intellettuale avrà modo di contestarne il risultato affermando : “Questo film è stato girato contro di me”. La colonna sonora di Piccioni lo rende ancora più interessante.
...
Ora San Paolo è un posto posh e abitare a Viale Marconi è diventato caro. In questo quartiere non abita la ggente de poco, ma di tutto, e un affitto medio è di settecento euro per un monolocale. "A due passi dal centro e dall'EUR" questo quartiere ha perso la sua naturale posizione di frontiera; non borghese, né popolare. Ora è solo un quartiere di Roma, una città scomparsa e dall'identità barattata. Neanche Pier Paolo Pasolini e il suo popolo di freack ne sarebbe attratto.
Long live to the Gasometro!

giovedì 21 gennaio 2010

He puts a spell on all of you!

Roberto Benigni e Screaming Jay Hawkins non hanno nulla in comune... sembrerebbe, ma non è così!
Prima di Daoubailò, Jim Jermush relaizzò un film brillante dal titolo Mistery train, dove un disincatanto portiere di colore si prodigava il minimo possibile per apparire affabile e gentile.
Pieno di anelli, sguardo greve, voce cupa era Screaming Jay.
Famoso per un blues minimale, I put a spell on you, Screaming era uso apparire dal vivo vestito come un misto di Master circense, Woo-doo stregone e dirty-gambler dell'America degli anni '20.
Basterà cercare sui vari motori di ricerca per farsi un'idea.
Resta il fatto che nella sua seminalità e eccentria iconografica anche negli anni '80 diventò un leader del movimento sixty-punk quando, insieme ai Fuzztones di Rudi Putrudi realizzo un bellissimo e selvaggio mini-album. Mai ristampato - un feticcio moderno - che ha raggiunto prezzi altissimi nel mercato del collezionismo.
Perche questo post? Perchè recentemente ho riascolatato due album uno-appresso-a-un-altro: The Whamee 1953-55 di Screamning Jay e l'ultimo di Tom Waits...e si capisce benissimo che è il maestro e chi l'allievo!
I put a spell on you! Enjoy

mercoledì 20 gennaio 2010

In Dury: An Artistic youth with a razor wit

L’uscita di un film Sex & drug and Rock’n’roll [http://www.sex-drugs-rock-roll-thefilm.com/ ] ed una biografia [ Ian Dury: the Defenitive Biography by Will Birch] rilanciano nel firmamento pop attuale la figura di Ian Dury. Come tutte le star che beneficiano del “valore” tempo e della morte "giovane", adesso Ian Dury è diventata un’icona del Pop, ma negli anni ’77 e ’78 il suo modo di presentarsi del vivo in pieno spirito dissacrante punk era più impostato sul suo essere handiccapato [ non "portatore di disabilità", l’avrebbe sicuramente rifiutato ] che non sul suono ruvido e violento; che di fatto non era. I riferimenti al pub rock, forse adesso più realistici, mentre negli anni del punk tutto ciò che era dissacratorio – anche solo iconograficamente - finiva nello stesso calderone. Ma Ian Dury è un personaggio a parte, fortemente ironico e letterato non aveva nulla che spartire con Sid Vicious&Pistols vari. Il suo modo di provocare era più circense, pregnato di una forte ironia e di una aggressività cultured not trash. Se cercate su Youtube o Amazon troverete moltissime compilation a prezzi irrisori…per ora.
Ma si sa, quando il mito si consegna al tempo, il bussiness passa all’incasso.
Take care!

martedì 19 gennaio 2010

Burn, burn Mister Burns!

Charles Burns è cresciuto e si è fatto le ossa nella rivista RAW [http://www.readyourselfraw.com/profiles/burns/profile_burns.htm ] negli anni '80 (quella di Art Spiegelman ed una delle prime riviste punk di comics), e da allora si è imposto disegnando, deformità, mostri struttura alienate e altre cose grottesche con un tratto fine e delicato per poster, copertine di dischi, The Believer, bevande, giocattoli e un sacco di bellissimi comics partoriti dalla sua mente vivace. I dodici numeri di Black Hole sono stati completati in 11 anni. È praticamente il suo La veglia di Finnegan, ma incentrato su un gruppo di adolescenti americani nei primi anni '70 e il loro tentativo di vivere con una strana malattia sessuale mutante.
Le opere di Burns sono in vendita un po’ ovunque e fanno bella mostra nell’angolo fumetti di libreire prestigiose o mano. E’ innegabile che il tratto di Burns sia particolarmente interessante, ma la storia – le storie, il plot – a volte difficile, se non assente.
Forse, e dico “forse”, in alcuni casi bisognerebbe distinguere tra disegnatori di fumetti e illustratori di storie; c’è sicuramente una grande differenza tra i fumetti di Milton Canniff e le stories di Charles Burnes! O no?...bè, ci torneremo sopra.

lunedì 18 gennaio 2010

Aiutiamo la Croce Rossa ad aiutare.

Per motivi strettamente legati la mio lavoro in questi giorni il blog subisce un "rallentamento".
Mi auguro che questo silenzio sia breve ma nel frattempo invito tutti ad essere solidale con una piccola isola dell'Oceano atlantico che è stata fortemente violenatata dalla natura.
Un solo dato: Haiti è il paese nel mondo con il più alto numero di natalità, se non il primo, tra le prime posizioni.
E numerosi sono i bambini presenti tra le macerie che hanno perso tutto, ma proprio tutto.
Andate sul sito della Croce Rossa Italiana e be present! [ www.cri.it ].

sabato 16 gennaio 2010

Albert Ayler was a Punk [#1]

Per nessun altro musicista Jazz sono state spese così tante parole "controverse" La sua musica ha sempre offerto uno spazio per la "concezione" del messaggio musicale, piuttosto che il discorso tecnico in se. La sua musica è così impregnata di spirituale ideologia che giganti della cultura AfroAmericana hanno sempre onorato con enorme rispetto questo sensibile musicista. LeRoi Jones/Amiri Baraka nè ha appoggiato le radicali argomentazioni di un FreeJazz liberatore, affrancatore nel popolo nero americano, Coltrane l'ha semplicemente indicato come il suo erede. La morte arrivatagli in giovane età l'ha consegnato al mito degli eroi.
Tra poco uscirà [ anche se non so se per il mercato italiano troverà un distributore ] un bellissimo documentario che raccoglie le pochissime testimonianze live e dirette di Albert Ayler, My name is Albert Ayler.
Non appena sarà disponibile, anche on line, in versione DVD questo blog sarà uno dei più attivi nel promuoverlo [ www.mynameisalbertayler.com ].
Solo per darvi un idea della sua importanza nella musica moderna americana è sufficente pensare che già negli anni '60, in piena rivoluzione Black Power e autarchici suoni FreeJazz, la comunità nera afromericana gli riconosceva un forte valore politico nel suo messagio musica.
Musica, più che politica.
Messaggio sociale, più che tecnica.
Radicalismo e non melodia fine a se stessa.
Ma... non è anche la cultura Punk?

venerdì 15 gennaio 2010

TVOR a Go-Go!

Negli anni ’80 il nostro paese generò uno dei movimenti punk hard-core più intensi del mondo, secondo solo – forse – a quello americano.
Furono anni furiosi dove esplose la cultura [e il metodo] del fai-da-te! Do it by yourself! Centinaia di HC band e 45 giri a go-go!
Non c’era ancora internet e la musica circolava per posta! Incredibile eh?
E le pochissime riviste di musica dedicavano solo due o tre pagine al punk nostrano.
Ma prolificavano le FanZine (Fans Magazine) devote alla filosofia punk ed erano l’unico strumento per avere accesso all’attività dei tantissimi gruppi che producevano cassette ( K7) o 45 giri EP.
La fanzine T.V.O.R Teste Vuote Ossa Rotte (1980-1985) è stata si da subito un punto di riferimento per tutti i punk, italiani e non, che a suo tempo hanno avuto modo di leggerla o semplicemente sfogliarla.
È stata più volte definita una delle migliori fanzine mai uscite, a livello mondiale: geniale e innovativa nella grafica e nei contenuti, ricca di foto spettacolari e di interviste fatte a un numero considerevole di gruppi hardcore punk, [ la sua ristampa ] ci fa rivivere e ci racconta, in una chiave sempre ironica e intelligente, tutto il meglio della scena mondiale dei primi anni 80! Cercatela online oppure direttamente sul sito di HellNation PunkStore in Roma [ http://www.lovehate80.it/ ].
Torneremo spesso su quegli anni e su quelle bands che veramente credevano nel circuito dell’autogestione come forma di non-supporto dell’establishment; non come ora dove i social rebel come BeppeGgrillo vendono i loro prodotti tramite internet utilizzando il sistema delle carte di credito che tutti sanno – anche i bambini, ma sembra non il Gurù BeppeGrillo – alimentano, come tutto il sistema del credito, la ricchezza del sistema bancario mondiale.
Wake Up old punkers! Gabba Gabba Hey!

Un buon libro al CBGB's bar


Certamente Patti Smith non ha bisogno dei miei miseri contatti per avere un po’ di visibilità, ma l’uscita del suo ultimo libro ( evento di per se raro visto che preferisce la Smith veicolare la propria poesia tramite la musica ) è anche l’occasione per promuovere la sua pagina web [ http://www.pattismith.net/ ] .
Da sempre nel circuito punk americano, e soprattutto in quello Newyorkese, Patti Smith ha rappresentato nel modo migliore [ ma non l’unico ] l’evoluzione della rabbia giovanile yankee – specialmente della noblesse dell’East Coast - e di come si sia sviluppata dalla rabbia [generazionale] al disincanto post 11 settembre di tutta la comunità americana.
Enjoy!

giovedì 14 gennaio 2010

Cesare Pavese: Il Blues della Grande città

Per chi non è mai stato nelle Langhe, questa terra viene associata ai tartufi bianchi di Alba, al buon vino e il buon mangiare. Ma sforzandosi un pò di più vengono in mente le mitiche 44 giornate di Alba e il Partigiano Johnny di Beppe Fenoglio ( momento di memoria importante sull'epica della Resistenza ). Ad andare un pò più a fondo si incontrano anche le Masche magiche e la tristezza di Cesare Pavese. Adesso le Langhe sono una terra bellissima, ricca ed edonistica...sembra impossibile che la novella "la malora" di Fenoglio possa essere stata ispirata in da una landa anni fà tanto crudele, ma ora dolcissima e ricca.
Ma c'è una cosa che pochi sanno; é che grazie a Cesare Pavese ed ai suoi amici piemontesi che per la prima volta si parla di Jazz e Beat Generation in Italia. Il mito America ( ma non ancora Amerika ) è da sempre nell'immaginario pavesiano e un'interessante tesi è stata sviluppata da Franco Bergoglio di cui pubblico un stralcio importante.

Abbiamo affermato che l'America è un mito che toccò sensibilmente il mondo dell'intellighentia piemontese. Risultato questo dovuto innanzitutto all'opera di traduttore, di saggista, di scrittore e in ultimo di redattore svolta da
Cesare Pavese. Nel 1929 Massimo Mila fornì a Pavese il nominativo di un giovane musicista di origine italiana, Antonio Chiuminatto (anche questi piemontese, emigrato negli Stati Uniti dopo essersi diplomato al conservatorio "Giuseppe Verdi" di Torino, per insegnare violino al conservatorio di Chicago) e tra i due si instaurò un notevole scambio epistolare. A lui Pavese si affidò per avere elenchi di libri, con lui discuterà di letteratura americana e anche di jazz. Nel suo saggio "La scrittura sincopata", lo studioso di letteratura americana Giorgio Rimondi mette in luce l'importanza di questo scambio "di culture" tra i due giovani: da un lato Pavese, assetato di conoscenza sulla letteratura e sulla civiltà americana, e dall'altra un giovane musicista dagli interessi artistici plurimi, disposto a condividere con il piemontese le sue conoscenze.
Si legge nella lettera ad Antonio Chiuminatto del 17 aprile 1930: "Non solo avete i ben noti meravigliosi menestrelli del jazz, ma, quel che più conta, avete un mucchio d'altri poeti la cui esistenza qui in Europa nessuno sospetta"24. Il 24 dicembre del 1931 Pavese scrisse entusiasta all'amico: "Sai che ho un giradischi? Ho un assortimento delle più spassose musichette americane che abbia mai sentito [...]. Adesso tu hai un altro compito: se senti di qualche disco americano di hot mandami titolo e compositore e orchestra. Capito? Specialmente blues e saxs".
Pavese, seguendo le orme del concittadino Alfredo Antonino, di cui parleremo in seguito, divenne collezionista di musica sincopata e si scontrò con gli inevitabili problemi di reperimento dei materiali, di cui lamentò per lettera all'amico la difficoltà. "Poi quanto ai dischi ho Dinah, il chant of the jungle [...]. Comprerò il Saint Louis Blues seguendo il tuo consiglio. [...]. Mandami le parole di tutti questi dischi, se puoi, con i tuoi commenti, sicuro".
Nel romanzo giovanile "Ciau Masino", pubblicato postumo, datato 1932, Pavese utilizzò il jazz come strumento per un divertissement linguistico: "Sa un fox non è più un valzer e un blues, - disse proprio blus, - non è più una romanza. Veda il jazz... - disse proprio giaz - ...Ah il giazze, il giazze! Ma ne avete già fatte di parole per giazze?". Ironia, uso del gergo e del dialetto, ma conoscenza ed utilizzo della letteratura americana, anche nei suoi toponimi di riferimento, nell'epos che comprende appunto anche il jazz. Nella stessa opera, il protagonista Masino propone una lirica: "Il blues dei blues": "Il male cominciò con me seduto/ sul sofà e la ragazza che cantarellando scendeva/ a rimettere un disco dei soliti - un blues./ Erano cose gaie d'America, anche i blues/ ma sentirli ripetere - sempre gli stessi -/ e vederli ripetere, sempre, dalla medesima mano".
Con un notevole salto temporale Rimondi collega questa lirica all'ultima composta dal poeta nel 1950, pochi mesi prima della tragica morte, "Last blues, to be read some day": il blues: filo rosso per interpretare il mal de vivre pavesiano. Nelle liriche scritte da Pavese il blues ed il jazz dominano però anche la raccolta di poesie "Blues della grande città", datate 1929 e dunque agli inizi della corrispondenza con Chiuminatto.
Dello stesso avviso è lo studioso di letteratura Marziano Guglielminetti, che, nell'introduzione alle poesie, scrive che "Last blues" è "un congedo da non ricondursi ai 'Blues della grande città', concepiti prima di 'Lavorare stanca', quando il rapporto con l'America era sostanzialmente vitale, in specie dal punto di vista linguistico". Lo stesso Guglielminetti scrive di questa raccolta di poesie che dietro si scorge la città moderna: "Un po' meno cupa e proletaria di quella già descritta, 'stracittadina' a suo modo (compaiono i grattacieli, si ode un saxofono)". Vale la pena citare alcune strofe della lirica che forse più di altre utilizza il jazz come sapore, ingrediente fondamentale di una Torino che Pavese - per dirla con D'Orsi - vuole cosmopolita e che si muove al ritmo delle suggestioni americane: "Tutta l'anima mia/ rabbrividisce e trema e s'abbandona/ al saxofono rauco./ È una donna in balia di un amante, una foglia/ dentro il vento, un miracolo,/ una musica anch'essa".
Il titolo del componimento è "A solo, di saxofono". Non mi addentro negli aspetti più squisitamente letterari della lirica, poiché in questa sede stiamo tentando di ripercorrere solamente alcuni momenti della storia della Torino degli anni trenta, tuttavia credo si possa individuare un duplice utilizzo della musica e del sassofono che ne è l'emblema. Da un momento narrativo puramente descrittivo - la lirica parla di un a solo di sassofono - si passa ad una trasposizione dell'uso dell'a solo jazzistico come procedimento letterario. Artificio che, a partire dallo "scrivere bop" di Jack Kerouac avrà anche una sua codificazione e cristallizzazione come tecnica letteraria in terra d'America. Non si vuole qui esaltare la figura di Pavese come quella di un precursore, si intende solamente evidenziare l'uso più "sensibile" ed attento del topos jazzistico da lui proposto rispetto alla letteratura ed alla saggistica del periodo in parola. In un altro componimento della stessa raccolta, intitolato "Jazz melanconico", il fascino e la presenza della musica sono filtrate e trasposte in lirica senza riferimenti diretti, se non per il titolo: "Ascoltare nel cuore/ le passioni remote,/ ascoltarle salire nella notte/ sul profumo umidiccio della terra./ Una vegetazione sconosciuta/ di desiderio, chiusa in questo cielo/ di buio e di silenzio".
Il jazz qui opera sul poeta a livello di stato d'animo, quello che viene definito nelle musiche jazz del periodo il mood: le passioni interiori si fondono con il paesaggio esteriore che circonda l'individuo. Certamente il jazz è presente anche in altre opere di Cesare Pavese, sovente - come accade ne "Il compagno" - come colore locale, per descrivere una atmosfera. Qui il jazz figura con il ruolo di comparsa, come musica da ballo nelle sale della Torino fascista degli anni trenta, descritta da Pavese nel romanzo.
...
Dopo lo spartiacque profondo della guerra, la passione per il jazz e per la letteratura sarà una delle costanti dell'opera di una scrittrice, traduttrice e giornalista come Fernanda Pivano, che muoverà i suoi primi passi proprio a Torino sotto l'influsso dell'amico Pavese e del filosofo Abbagnano. E proprio la Pivano traghetterà la visione di un'
America ribelle e romantica dagli anni sessanta fino ad oggi.

estratto di un più ampio scritto su [ www.storia900bivc.it/pagine/editoria/bergoglio200.html ]

mercoledì 13 gennaio 2010

ENJOY THE JOURNEY LIAM



E' scomparso il 4 December 2009 a Cork, all'eta di 74 anni, Liam Clancy [ www.liamclancy.com/ ], “leggenda” del folk irlandese e parte dei Clancy Brothers, di cui era l'ultimo sopravvissuto. Bob Dylan l'aveva definito "il miglior cantante di ballate che esista". Per chi non conosce la musica irlandese, Liam era stato – e forse rimarrà per molto – uno dei migliori cantori della mistica gaelica. Pochi gli organi d’informazione che ne hanno parlato, ma è abbastanza comprensibile poiché molti fanno ancora confusione tra musica irlandese e generico pop/rock inglese. Gli U2 e i Cranberries sembrano essere, per molti, l’unica espressione di “musica irlandese”, ma la magia, la soave mistica e l’intensa commozione che cantori come Lian hanno saputo creare, meglio riflettono una cultura così antica e solenne come quella dei riot irish. L’esperienza musicale di Liam Clancy, e come lui di centinaia di cantori, folk singer, cantautori celtici, ci rimanda sempre ad un pensiero semplice: è più gratificante essere un grande tra i minori del folk o un minore tra i grandi del Pop?
Have a nice trip Liam

martedì 12 gennaio 2010

UN CANTORE DI TERRA E LIBERTÀ


...per meglio capire ( anche ) di cosa ci occuperemo su questo blog ecco un'articolo già comparso sulla Gazzetta dello Sport poche giorni dopo la morte di Luigi Veronelli. Recentemente anche su Rivista Anarchica [ www.anarca-bolo.ch/a-rivista ] c'è stato un interessante approfondimento...magari ci torneremo sopra in futuro. Buona lettura!
Veronelli ci aveva accolti nella sua casa, a Bergamo Alta, quando la troupe dell'Elmo di Scipio andò a intervistarlo per un programma di Rai Tre, all'inizio del 2004. Bevemmo una bottiglia di un rosso umbro [ Rosso di Montefalco? ndr ]che lui stimava molto e ci spiegò come si fa veramente un brindisi: con i bicchieri che sbattono quasi fino a rompersi.
Il tema dell'intervista era strano: il vino e la libertà. La grande casa era bella e ospitava alcune delle molte iniziative di Veronelli: un seminario continuo per produttori, le attività editoriali, le guide enogastronomiche che lo hanno reso uno dei principali ambasciatori della qualità italiana in fatto di cucina, la rubrica sul Corriere della Sera e quella sulla Gazzetta dello Sport in occasione del Giro d'Italia. Era una giornata d'inverno eccezionalmente tersa, nel giardino giocavano dei cani e l'uomo era incredibilmente giovanile, nonostante fosse afflitto da una diminuzione molto grave, e progressiva, della vista.
Ci raccontò del vino, di come si possa con il vino dialogare e di quante storie il vino possa raccontare. Ci raccontò di corso Monforte, a Milano, chiamato così perché nel Medioevo vennero trasportati lì, e bruciati sul rogo, gli eretici piemontesi di Monforte che non vollero abiurare. Quelli che tornarono a casa continuarono a fare i vignaioli, ma dolore, morte e tragedia - disse Veronelli - si possono ancora sentire in un certo punto del palato se lì la lingua schiaccia l'ultima goccia. E lo stesso, disse ancora, accade per il vino di Melissa, in Calabria, che ricorda l'uccisione di cinque braccianti. La ricerca della qualità, della storia, dei sacrifici fatti nei secoli da sconosciuti contadini ha guidato il lavoro di Luigi Veronelli. E la loro difesa: contro la commercializzazione senza criteri, per la valorizzazione delle denominazioni comunali, per l'educazione al gusto dei cittadini che non hanno conosciuto le campagne. Era un uomo di grande cultura e di buone letture, inventore, per la gastronomia, di un linguaggio nuovo, paragonabile a quello usato da Carlo Emilio Gadda in letteratura e a Gianni Brera nelle cronache dello sport. L'ultima iniziativa che lo aveva entusiasmato si era appena svolta al centro sociale Leoncavallo di Milano: Terra e libertà, una kermesse a cui avevano partecipato diecimila persone, invitate (con un bicchiere in regalo e a un prezzo veramente modico) a degustare i prodotti di decine di produttori sconosciuti. Una sommessa risposta (anche) all'attuale inondazione di cuochi televisivi.Luigi Veronelli amava da sempre i valori dell'anarchia. I suoi amici fanno sapere che ai funerali, oggi [allora ndr] mercoledì 1 dicembre, alle ore 10, al cimitero monumentale di Bergamo, «suonerà la banda degli ottoni a scoppio e saranno presenti le bandiere di uguaglianza e libertà che ha sempre amato».
(già pubblicato su La Gazzetta dello sport, 1/12/2004 di Enrico Deaglio)
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